In questa serie di post sono stati descritti alcuni dei meccanismi biochimici che rendono inevitabile l’invecchiamento e la morte dell’individuo; la teoria dell’evoluzione darwiniana ci permette di inquadrarli in una prospettiva biologica più ampia. Il successo evoluzionistico dell’individuo e della specie sta nella capacità di produrre una progenie ampia e fertile; le mutazioni del Dna aumentano il pool genico della specie e, sebbene in genere causino malattie genetiche, in rari casi possono produrre individui meglio capaci di adattamento all’ambiente o dotati di migliori capacità riproduttive. Ciò che è cruciale ai fini dell’evoluzione è che l’individuo raggiunga l’età fertile e generi figli; ciò che accade dopo l’esaurimento della capacità riproduttiva è evoluzionisticamente irrilevante.
I nostri organi possiedono riserve funzionali enormi, delle quali non siamo consapevoli. Ad esempio nello stato di riposo il cuore umano pompa circa 5 litri di sangue al minuto nella circolazione sistemica e altrettanti nella circolazione polmonare. Sotto sforzo il cuore può facilmente raggiungere una portata circolatoria quattro o cinque volte superiore e in un atleta allenato anche otto o dieci volte superiore: il nostro cuore è dimensionato in modo tale da avere una riserva funzionale che eccede enormemente il fabbisogno minimo.
Questa riserva funzionale viene utilizzata nei momenti di bisogno: è quella che permette al leone di inseguire la gazzella e a questa di scappare; e non è vero, come si dice a volte, che la gazzella corre per la vita e il leone corre per la cena: entrambi corrono per la vita perché il leone non può sopravvivere digiunando. Con l’invecchiamento si ha perdità di capacità funzionale degli organi, per le ragioni viste nei post precedenti e piano piano sia la gazzella che il leone corrono più lentamente; ne l’una né l’altro muoiono di vecchiaia: muoiono la prima quando non riesce più a scappare abbastanza in fretta, il secondo quando non riesce più ad acchiappare la preda.
L’essere umano è un animale sociale e, purché le risorse dell’ambiente lo consentano, tende ad aiutare il suo prossimo. Anche il comportamento prosociale è favorevolmente selezionato dall’evoluzione, almeno finché l’anziano ha capacità riproduttiva o utilità nell’accudimento dei piccoli. Il risultato dei comportamenti prosociali fa sì che l’essere umano che invecchia possa usare la riserva funzionale dei suoi organi anche per il proprio mantenimento, anziché soltanto per la caccia e l’allevamento della prole. Un anziano ha bisogno, come un giovane, di una portata circolatoria a riposo di 5 litri/minuto; ma se il nutrimento e la difesa sono garantiti dai membri giovani della famiglia o del gruppo, può usare la riserva funzionale del suo cuore al solo scopo di sopravvivere.
Un anziano potrebbe avere una portata cardiaca massimale anche soltanto di 6 o 7 litri/minuto anziché 20 o 25 e stare benissimo in salute perché gliene servono soltanto 5; mentre sta fermo il suo cuore funziona quasi al massimo della sua potenza, cioè come se stesse correndo a perdifiato, ma è comunque in grado di garantire il fabbisogno. Poiché noi non dobbiamo lottare per la vita, possiamo usare le nostre riserve funzionali per invecchiare serenamente, cosa che non è concessa agli altri animali.
L’anziano non ha consapevolezza della sua condizione; tutto quello che lui nota è di avere una minore tolleranza allo sforzo. Viene però inevitabilmente il momento in cui il mancato ricambio cellulare e i danni d’organo accumulati nel tempo portano la capacità massimale al di sotto del fabbisogno: quando la massima portata circolatoria che il cuore può garantire è inferiore al fabbisogno minimo a riposo, tutti gli organi cominciano a soffrire per il ridotto apporto di ossigeno e la situazione dell’anziano sembra tracollare improvvisamente. Si noti che il cuore è soltanto un esempio, utile perché la sua funzionalità attuale e massimale è facile da misurare e immaginare; ma lo stesso discorso vale per il rene, il fegato, il cervello e virtualmente per qualunque organo.
Questo discorso ci chiarisce il perché della grande dissociazione tra il calo funzionale degli organi dovuto all’invecchiamento e la scarsa percezione che noi ne abbiamo. Ci piace dire che l’età è quella che una persona si sente addosso, e dal punto di vista dell’umore è così; ma dal punto di vista fisico cominciamo a invecchiare molto presto e progressivamente sempre più in fretta. A causa della nostra illusoria percezione ci sembra che l’invecchiamento avvenga in modo repentino e tardivo, come una malattia; e ci illudiamo che un domani, come per le malattie, se ne scopra una cura. Non è così, l’invecchiamento e la morte appartengono al sistema biologico come la nascita e la crescita; le cure possono al massimo spremere qualcosa in più dalle riserve funzionali d’organo.
Almeno alcuni dei processi di invecchiamento che abbiamo considerato possono, con tutte le cautele del caso, essere assimilati ad applicazioni del secondo principio della termodinamica; ad esempio le mutazioni del Dna degradano in modo casuale l’informazione genica e realizzano un processo analogo all’aumento di entropia di un sistema in precedenza ordinato. Come nessuno di noi pensa di poter violare i principi della termodinamica, così nessuno dovrebbe pensare di poter evitare l’invecchiamento e la morte, anche se una vita sana può ritardarli.