Da Giuba a Parigi, passando per l’Estremo Oriente. La Nazionale di basket del Sud Sudan ha fatto la storia ancora una volta. Dopo la prima partecipazione a un Mondiale e la prima vittoria contro la Cina, i sudsudanesi conquistano anche la prima Olimpiade, a soli 12 anni dall’indipendenza. La Nazionale ha ottenuto la qualificazione a Parigi 2024. Un risultato straordinario arrivato grazie alla vittoria sull’Angola – e alla contemporanea sconfitta dell’Egitto contro la Nuova Zelanda – nel match valido per il turno di classificazione. L’eliminazione contro la Serbia è ormai un lontano ricordo.

Un traguardo arrivato da un quintetto che a malapena conosce la nazione che rappresenta, a causa delle guerre civili che hanno caratterizzato la regione, di fatto, dal 1955 al 2020 salvo brevi interruzioni. Alcuni sono stati capaci di sostenere i ritmi e i livelli della NBA. Wenyen Gabriel per cominciare. È un esiliato del conflitto e ha condiviso per 68 volte la maglia dei Los Angeles Lakers con LeBron James e Anthony Davis. E poi c’è Carlik Jones. Negli ultimi due anni ha giocato appena 12 partite tra Dallas, Denver e Chicago, ma è soprattutto lui ad aver trascinato le “Bright Stars” alle prossime Olimpiadi con 26 punti, 7 rimbalzi e 15 assist nella sfida decisiva contro l’Angola. Nuni Omot in Sud Sudan non ci è praticamente mai stato, visto che è nato nel campo profughi di Nairobi, in Kenya, dove i suoi genitori si erano rifugiati per scappare dalle atrocità e dalle persecuzioni. Marial Shayok, ex Philadelphia 76ers, è nato e cresciuto a Ottawa, nell’Ontario canadese. Kuany Kuany invece viene da Aweil, una città nel nord del Paese, ed è emigrato precipitosamente in Australia quando di anni ne aveva 9.

A questi si aggiunge Khaman Maluach, 16 anni (ne compirà 17 il prossimo 14 settembre). Il terzo giocatore più giovane di sempre a debuttare ai Mondiali. Maluach possiede quel mix di mobilità, capacità difensive e di tiro da tre punti che hanno sempre affascinato la NBA. Il tutto su un fisico di 218 centimetri. Un diamante grezzo, che ha cominciato a giocare seriamente solo due anni fa in Uganda. Davanti alla sua giovane età già si intravede il primo bivio. Per concludere il liceo gli mancano ancora due anni, poi dovrà scegliere se andare in NCAA (atenei come UCLA e Georgetown lo hanno già cercato) oppure diventare il primo giocatore di sempre a passare dall’Africa all’NBA nel Draft del 2025. Ma come ogni bella storia che si rispetti, c’è bisogno di qualcuno che mette insieme tutti i tasselli, che indichi la via da percorrere. E questo è l’ex-NBA Luol Deng, oggi a capo della federazione.

Da bambino fu costretto a scappare in Egitto e a rifugiarsi lì, perché nel frattempo, in Sudan, era esplosa la seconda guerra civile. Qui Deng comincia a dare confidenza alla palla a spicchi, dopo aver incontrato Manute Bol (morto nel 2010 ad appena 47 anni), 231 centimetri distribuiti su appena 90 chili. Manute era di etnia Dinka, la stessa della famiglia Deng, e tra gli anni ‘80 e ‘90 aveva stregato la NBA tra Washington Bullet, Golden State e Philadelphia 76ers. Per Deng diventa un’autentica ispirazione. Dopo aver ottenuto asilo politico in Inghilterra, Deng a 14 anni riesce a volare negli Stati Uniti, dove il suo talento per lo sport esplode in maniera definitiva, passando dai Chicago Bulls ai Miami Heat, dai Cleveland Cavaliers ai Los Angeles Lakers. Ma è dopo aver detto basta che capisce la sua missione: costruire un intero movimento nel suo Sud Sudan. Una visione che ci ha messo appena dieci anni a dare i primi frutti.

Il Sud Sudan è infatti diventato indipendente nel 2011, e subito è ripiombato nel baratro di un’altra guerra civile, questa volta tutta sudsudanese. Tra il dicembre 2013 e il febbraio del 2020 le etnie dei Dinka e dei Nuer si sono combattute ignorando qualsiasi appello alla pace. Un’instabilità sociale radicale che ha impedito al Paese di svilupparsi. In tutto il Sud Sudan non esiste un palazzetto dove far giocare la propria nazionale e circa il 90 per cento degli abitanti vive in villaggi. In questo contesto Deng ha reclutato personalmente ogni singolo componente della nazionale, pagando di tasca sua viaggi, raduni, voli e partite. Ma soprattutto Deng ha messo insieme giocatori Dinka e Nuer. E forse, ancora più del mondiale e delle prossime Olimpiadi, è proprio questo l’obiettivo più grande che vuole raggiungere: fare del basket il mezzo per unificare e pacificare definitivamente un’intero Paese.

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