Cinema

Venezia 80, The Killer di Fincher gira a vuoto. E Fassbender fa yoga con i calzini ‘a fantasmino’

Ambientato in cinque scenari geografici differenti, sulla falsariga dei Bond e di Mission:Impossibile, The Killer è una prolungata e articolata esibizione della metodologia di un killer contemporaneo, ovvero tutto ciò che deve fare un assassino per uccidere senza lasciare traccia o essere visto in mezzo a mille codici, gps e videocamere

di Davide Turrini

Anche un genio come David Fincher a volte gira a vuoto. The Killer, in Concorso a Venezia 80, sa tanto di compito ordinario e non molto brillante. Impotenza emotiva dei fumetti oggi. Prendi un albo della graphic novel omonima di Matz e Luc Jacamon su un killer metodico, rigorosissimo e privo di emozioni, e la trasformi in un film con Michael Fassbender che tra un omicidio col silenziatore e l’altro indossa i fantasmini e fa yoga. Tutto nasce hitchockianamente con uno sguardo voyeuristico da Finestra sul Cortile. Dietro ai vetri di un appartamento sfitto in un antico palazzo parigino il killer senza nome (Fassbender) attende il momento propizio per seccare con un colpo solo la vittima predestinata nel signorile appartamento di fronte. In attesa dell’arrivo della vittima, il killer dorme, fa scrocchiaare il collo e perfetti utthita trikonasana, si riscalda con una stufetta, trotterella per un nobile arrondissement parigino come “turista tedesco”.

In voice off il monologo del killer enumera doti dell’assassino perfetto: nessuna empatia, nessuna improvvisazione, mai schierarsi con nessuno. Solo che a tanta perfezionista metodicità segue un fortuito incidente e al killer tocca scappare. Quando tornato nel buen ritiro di Santo Domingo troverà la casa sottosopra e la fidanzata in terapia intensiva, intraprenderà la sua silenziosa calibrata invisibile vendetta risalendo, modello Tre giorni del condor ma senza implicazioni paranoico politiche (altri tempi bellissimi), al vecchio capo che l’ha tradito (un elegante avvocato afroamericano), ai due killer che volevano ucciderlo (un palestrato della Florida con pitbull e “il cotton-fioc” Tilda Swinton) e un mandante pusillanime newyorchese. Ambientato in cinque scenari geografici differenti, sulla falsariga dei Bond e di Mission:Impossibile, The Killer è una prolungata e articolata esibizione della metodologia di un killer contemporaneo, ovvero tutto ciò che deve fare un assassino per uccidere senza lasciare traccia o essere visto in mezzo a mille codici, gps e videocamere.

Travestimenti da persone comuni, carte di credito e documenti farlocchi, strumenti del mestiere e oggetti di lavoro: tutto finisce sotto strettissimo dettaglio della macchina da presa di Fincher che qui recupera di sfuggita, un po’ abbecedario del proprio cinema, il classico tema dell’irrazionale ossessività umana e morale insita nei propri personaggi. Solo che il percorso di vendetta del killer senza nome è opacamente ripetitivo e mai realmente palpitante, indirizzato su vane tracce grandguignolesche (ci saranno state nel fumetto…) e intuitivamente giocoso nemmeno fossimo in un film di Guy Ritchie. Inoltre The Killer ha un grosso problema che sta nel manico: l’interpretazione di Michael Fassbender. Con quell’espressione forzatamente anonima (che non gli riesce affatto), cappelletto da turista, occhiali da sole più larghi del viso, abitini sottili pastello chiaro, sembra più rincorrere il fantasma di un dimagrito Christian Bale che altro. Produce Netflix.

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