Elezione diretta del presidente del Consiglio, con potere di nomina e revoca dei ministri. Rigidi automatismi nello scioglimento delle Camere. Mantenimento del ruolo e dei poteri del Governo così come sono. Venghino, signori, venghino. Che questo circo rischi di non funzionare e di fare più danni che altro è stato autorevolmente notato da più parti, anche su queste colonne. D’altra parte, se in nessun altro Paese funziona così, una ragione ci sarà. Non è che loro son fessi e noi siamo i buoni.
Ma, a parte tutto, voi immaginate che brivido alla schiena devono aver sentito al Quirinale. E sì, perché il grande sacrificato è lui, il presidente della Repubblica, ridotto a poco più di un figurante, un figurino da cerimoniale, un fainéant, un fannullone – come temevano alcuni alla Costituente.
D’altra parte, c’è da capirli un po’. Ruolo e poteri del presidente della Repubblica sono forse il capitolo più difficile del programma di diritto costituzionale, perché c’è un non detto più potente di quello che è detto. Una disciplina a tratti vaga, aperta, come appena abbozzata, e non per caso o negligenza, ma perché, se serve per rimettere in moto i meccanismi del sistema quando questo rischia di bloccarsi, allora è necessario che sia sufficientemente elastico, agile, in modo da infilarsi facilmente negli ingranaggi. Non c’è “la parola che squadri da ogni lato”, è più facile dire cosa il presidente non è, piuttosto che ciò che è – “codesto solo oggi possiamo dirti”.
Troppo difficile, troppo sfuggente. Via il potere di nomina del presidente del Consiglio, via il potere di scioglimento, e ora sì che è tutto più chiaro, semplice, controllabile. Viviamo il tempo delle semplificazioni, delle banalizzazioni – diciamo pure: delle idiozie. I poveri mangiano meglio dei ricchi, se non ti ubriachi non incontri il lupo e in fondo accanto ci sta pure bene l’elezione diretta del presidente del Consiglio che nomina e revoca i ministri. Adda passà ‘a nuttata.
La tragedia è che le idiozie di certe nottate poi le paghi a lungo. Conforta un po’ vedere che questi sono assolutamente allo sbando, senza un progetto chiaro, definito, preciso, per fortuna. Hanno questa attrazione fatale per la legittimazione diretta del capo che ha un che di perversione sessuale, ma per il resto non hanno le idee chiarissime. E conforta pure un po’ sapere che riforme così importanti della Costituzione non hanno mai superato la prova referendaria, e che, con i tempi che si allungano, se il referendum popolare si terrà nell’ultima parte della legislatura probabilmente gli elettori saranno già sufficientemente nauseati da tutta la baracca.
Ma, se mai dovessero riuscire a portare il risultato a casa, una riforma costituzionale non la correggi o modifichi come si farebbe con una leggina qualsiasi. A quel punto te la tieni, e se è scritta male – e il rischio c’è sempre, figuriamoci quando a scriverla sono questi qua – ti tieni tutte le conseguenze che non avevi neanche previsto. “Se il mellone è uscito bianco, mo’ cu chi t’ à vuo’ piglia’?”, cantava una vecchia canzone.
E tutto questo, ci dicono, per garantire la stabilità del governo. Che sinceramente fa un po’ ridere che lo dicono da destra, visto che l’unico governo di legislatura che abbiamo avuto è stato il secondo Berlusconi e il prossimo si candida ad essere quello della Meloni. Abbiano la carità di non venire a parlare di stabilità alla sinistra, che un governo di cinque anni non l’ha mai avuto.
Peraltro, Berlusconi è stato cinque anni e la Meloni probabilmente starà a Chigi cinque anni con questa Costituzione: che siano proprio loro a dirci che per la stabilità di governo è necessaria cambiarla è quantomeno controintuitivo.
Forse, l’unica cosa che potrebbe convincerci che la Costituzione vigente non è in grado di garantire governi stabili sarebbe la caduta del governo Meloni prima del termine naturale della legislatura. Io, fossi in loro, un pensierino ce lo farei…