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Frans Timmermans, ovvero il pasdaran del Green deal (suo malgrado)

Timmermans è un delinquente”: con queste parole Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, definiva poco prima del voto sulla legge europea sul ripristino della Natura il VP e n. 2 della Commissione Frans Timmermans, responsabile del Green Deal e delle politiche sul Clima nella Commissione Von der Leyen; Timmermans si è dimesso qualche giorno fa ed è oggi candidato a diventare primo ministro nei Paesi Bassi per una coalizione tra socialisti e verdi (Partij van de Arbeid e Groen Links); questa inedita alleanza è in buona posizione nei sondaggi per le elezioni anticipate previste in autunno, che si annunciamo però totalmente imprevedibili e si giocheranno in buona parte sul tema dell’immigrazione oltre che sul clima.

Frans Timmermans, socialista, è stato ministro degli esteri olandese, e non è nuovo a polemiche e controversie.

Prima di arrivare a Bruxelles nel 2014, aveva pubblicato uno stranissimo documento di 54 punti sulle competenze da togliere alla Ue, per fortuna finito nel dimenticatoio: era il politico olandese più popolare e non esattamente un federalista. Commissario alle questioni istituzionali e ai diritti fondamentali tra il 2014 e il 2019 nella commissione Juncker, è stato protagonista di scelte totalmente sballate, come quella di eliminare con un tratto di penna in nome del principio “legiferare meglio” il primo, visionario pacchetto di norme sull’economia circolare, frutto di un attento e minuzioso lavoro del suo predecessore commissario Petrovic o quella di rimandare per anni l’azione contro il deterioramento delle democrazie ungherese e polacca, per poi comunque diventare la loro bestia nera quando si decise a intervenire anche per le insistenze del PE, chiedendo di attivare la cosiddetta procedura art.7, che, se adottata, permette di sospendere i diritti che derivano dall’essere membri della Ue. Non se ne fece nulla grazie all’impossibilità di raggiungere il necessario consenso al Consiglio e si decise, dopo altri anni, di agire attraverso la sospensione dei fondi.

Questa è la stata sicuramente la ragione della feroce opposizione di polacchi e ungheresi alla sua nomina a Presidente della Commissione nel 2019. Come primo VP ha chiesto e ottenuto di essere responsabile del Green Deal, il grande piano europeo di normative e finanziamenti che ha l’obiettivo di permettere alla Ue di diventare il primo continente a emissioni nette zero per il 2050, favorendo al contempo innovative attività economiche e nuovi posti di lavoro.

Timmermans passa oggi, ben al di là delle sue intenzioni, per essere una sorta di Pasdaran verde; la destra europea, e in particolare il PPE guidato da Manfred Weber, ha deciso di concentrare su di lui strali e calunnie, pensando di recuperare consenso sfruttando la preoccupazione di molti elettori ed elettrici di fronte al rapido cambio epocale richiesto dall’urgenza climatica, ma anche frutto della volontà di favorire potenti lobby – in particolare nel campo dell’energia fossile e dell’ agro-industria (vedi le dichiarazioni di Prandini) e dal suo sostanziale eco-scetticismo; in realtà non è sempre stato così. Timmermans è sempre stato convinto dell’impossibilità di abbandonare il gas e si è adeguato ai rapporti di forza interni ed esterni alla Commissione; ha ceduto su temi quali l’introduzione di gas e nucleare nella tassonomia verde, facendole perdere gran parte della sua carica innovativa, e alla potentissima lobby agricola, che ha dimostrato di essere molto più forte politicamente di quella dell’industria e dell’automotive; su spinta anche della Presidente Von Der Leyen, quando la destra e il PPE ha iniziato ad attaccare duramente il Green Deal, ha accettato di diluire le proposte della Commissione su suolo, pesticidi, economia circolare, emissioni industriali e inquinamento dell’aria. Forse era inevitabile, visti i nuovi rapporti di forza anche al PE. Ma il paradosso è che questo non gli ha impedito di diventare il simbolo del Green Deal e lo spauracchio della destra anche nel suo paese.

Ed è forse proprio per avere il parziale controllo del portafoglio sul clima in questi ultimi cruciali mesi prima delle elezioni europee che pare che il PPE europeo abbia chiesto al primo ministro uscente Mark Rutte di sostituire Timmermans con l’attuale ministro degli esteri Wopke Hoekstra fino al termine del mandato della commissione Von der Leyen (dicembre 2024). Hoekstra è il leader dello screditato partito democristiano, rappresentante di punta del fronte dei “frugali” quando era ministro delle finanze, eco-indifferente notorio, con nessuna esperienza sul clima. Rutte ha preso questa decisione senza consultarsi con il suo governo, accordandosi con Von der Leyen; non è perciò una sorpresa che la nomina sia stata accolta con grande nervosismo dal fronte progressista al PE, che si aspettava di ritrovare la Ministra di D66 e promette battaglia quando il candidato commissario si presenterà all’audizione dei parlamentari europei, passaggio obbligato per la sua nomina definitiva.

Anche se Hoekstra non avrà il rango di vicepresidente e dovrà agire sotto la supervisione del socialista slovacco Sefcovic, sarà lui a rappresentare la Ue nei negoziati della COP 28 di Dubai. È evidente che se il Partito popolare continuerà la sua battaglia contro il Green Deal pensando di averne un vantaggio elettorale, il fatto di avere uno dei suoi con le mani nella macchina europea può rappresentare un punto di debolezza importante nei negoziati globali sul clima e anche sui dossier ancora non completati del green deal, dalle case green alla strategia zero pollution. Anche perché Sefcovic non è certo un “cuor di leone” su questi temi. Insomma, la partenza di Frans Timmermans dalla Commissione europea potrebbe certo avere conseguenze positive (un primo ministro rosso-verde in Olanda) ma anche proseguire lo scivolamento della Commissione europea e della Ue in generale verso posizioni che contraddicono gli impegni presi nel 2019, quando la maggioranza Ursula (PPE, PSE, liberali con l’appoggio dei 5stelle, ma senza i Verdi che decisero di sostenere o respingere di volta in volta le diverse normative) si era formata sulla base di un accordo con al centro proprio il Green Deal.

Dopo una estate tragica in Europa dal punto di vista dei fenomeni estremi, dalle temperature mai viste alle tempeste e inondazioni che potrebbe essere solo un anticipo di quanto ci aspetta, il disimpegno del PPE dal Green Deal e la decisione di allinearsi con il fronte più retrogrado e negazionista delle estreme destre europee, fomentando populismo climatico e disinformazione, rappresenta una decisione irresponsabile e miope da tutti i punti di vista, incluso quello economico.

Starà a tutti e tutte noi battere politicamente alle prossime elezioni europee queste forze politiche che ci vogliono tenere legati ad un sistema economico insostenibile, inquinato e ingiusto, e che allo stesso tempo – è bene non dimenticarlo – vogliono arrestare il processo di integrazione europea.