La morte della 27enne Valeria Fioravanti, avvenuta il 10 gennaio scorso a causa di una meningite, è stata scambiata prima per una cefalea e poi, in un secondo controllo, per una lombo sciatalgia. È quanto emerge dalla perizia richiesta dal pubblico ministero Eleonora Fini per indagare sul decesso improvviso della giovane, che mette sotto la lente degli investigatori in particolare due ospedali, sospettati di aver sottovalutato in maniera colposa i sintomi che stavano causando un profondo malessere alla ragazza. Si tratta rispettivamente del policlinico Casilino, il primo ospedale in cui Fioravanti si è recata, dal quale ha ricevuto del Toradol per affrontare un mal di testa causato da un movimento “incongruo” compiuto mentre si lavava i capelli, e il San Giovanni Addolorata, che ha scambiato una meningite per un mal di schiena. In seguito all’inchiesta aperta dalla pm, tre medici rischiano ora un processo con l’accusa di omicidio colposo poiché non sono stati eseguiti i dovuti esami specifici nonostante il quadro clinico grave. Secondo l’accusa, i medici sono stati “superficiali” nel trattamento della paziente e, come riporta Il Secolo XIX, la mancata diagnosi e la somministrazione di un antinfiammatorio, che anestetizzava la ragazza dal dolore e non la guariva dalla meningite, l’ha di fatto condannata a morte.
Valeria, presa dalla preoccupazione, cercò in ogni modo di fare qualcosa. Si recò infatti in tre ospedali diversi, accompagnata dai suoi famigliari, per presentarsi poi un’ultima volta al San Giovanni dove le venne disposta una tac celebrale che evidenziò una meningite acuta in fase conclamata. Da lì passò poi al ricovero in terapia intensiva allo Spallanzani, dove morì qualche giorno dopo.