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A Venezia il docu-film su Ambrogio Crespi. Telese e la prima da regista: “Perché questa storia? Perché non l’avrebbe raccontata nessuno”

di Francesco Lo Torto

“È una storia che probabilmente non avrebbe raccontato nessuno”. Per questo motivo Luca Telese ha scelto di indossare i panni del regista, per la prima volta. Per raccontare attraverso una dimensione nuova qualcosa che “epidermicamente” lo aveva subito incuriosito. Una vicenda che, una volta approfondita, si è rivelata “perfetta per un film”. Nasce così Stato di grazia, il docufilm che racconta la vicenda di Ambrogio Crespi. Condannato con sentenza definitiva a sei anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, Crespi si è sempre dichiarato innocente, vittima di un errore giudiziario. Ma ha accettato la condanna, senza perdere fiducia nella giustizia. Da regista ha realizzato opere di forte impegno civile. Ha scelto di riabilitarsi con la sua arte. Ha parlato di legalità e di lotta alla criminalità, guadagnandosi – in una storica decisione del tribunale di sorveglianza di Milano – il diritto di attendere fuori dal carcere la decisione di Sergio Mattarella riguardo il suo destino: dopo nove anni dal suo arresto, nel settembre del 2021 il presidente della Repubblica gli ha concesso una grazia parziale. Dopo l’ascesa, la caduta e il dramma, anche il colpo di scena finale. “Stato di grazia è un percorso di resurrezione – spiega Telese a ilfattoquotidiano.it -. Con l’ausilio di tante testimonianze (tra cui quella del direttore de ilfattoquotidiano.it Peter Gomez, ndr), racconta il passaggio di Ambrogio dall’inferno al paradiso, quando ormai sembrava destinato ad appartenere ai dannati”. Il docufilm viene presentato mercoledì 6 settembre a Venezia nell’ambito della Mostra del Cinema per Venice Production Bridge.

Da una parte chi lo accusava di essere un mafioso, dall’altra chi ne applaudiva l’impegno contro la criminalità. Una vicenda divisiva quella di Crespi, per questo hai deciso di raccontarla?
Questo cortocircuito è stato la molla: c’era qualcosa che non andava nella storia di Ambrogio. Ci siamo incontrati per lavoro e quando sono venuto a conoscenza della sua vicenda ho voluto approfondire. Non riuscivo a credere che fosse coinvolto in una compravendita di voti per la mafia calabrese a Milano. È una persona normale finita in un caso incredibile: una grazia parziale concessa a un condannato per concorso esterno in associazione mafiosa da un presidente della Repubblica vittima della mafia. Una cosa mai accaduta. Ho deciso di raccontarla e ho voluto che la narrazione rimanesse fuori dalla guerra civile in atto tra politica e magistratura. Non ci sono magistrati buoni o cattivi in Stato di grazia. Sono magistrati quelli che lo liberano e sono magistrati quelli che lo condannano.

Nonostante si consideri vittima di un errore giudiziario, Crespi ha sempre dichiarato di credere nella giustizia. Stato di grazia trasmette la stessa fiducia?
Sì, perché il sistema è in grado di riformarsi. Nel film ricostruiamo un percorso interessantissimo in cui educatori, giudici e direttori di carcere, mobilitandosi, finiscono per applicare una sorta di quarto grado di giudizio. Solo che la vicenda a lieto fine di Ambrogio è accaduta per una serie di piccoli miracoli. Il mondo sano che gli sta intorno e la solidarietà lo hanno protetto. Ma non deve essere un eroe quello che si salva. Il sistema dovrebbe avere degli anticorpi che scattano in condizioni normali. Stato di grazia non è solo la storia edificante di Ambrogio. Lui è una figura di frontiera che ha gettato luce su una cosa che altrimenti sarebbe rimasta buia. Bisogna entrare con la lanterna nel carcere e bisogna che questa società capisca che la funzione della riabilitazione non è un enunciato. Smontare il meccanismo per cui, una volta emessa la condanna, si getta la chiave. Troppo spesso vediamo il carcere come un punto di fine. Invece la morale in questo film è che il percorso inizia là.

C’è bisogno di una rivoluzione culturale per il modo in cui vengono considerate le persone detenute e i loro percorsi riabilitativi? Crespi aveva la sua arte come arma, gli altri?
In Italia abbiamo un’idea totalmente falsata del carcere, della pena. Non ci ricordiamo mai del problema della giustizia di classe. La maggioranza delle persone che stanno dentro è formata da poveracci. Così com’è, il sistema è esploso. Il carcere è solo la dimensione dei poveri e dei dannati. Ambrogio è una persona comune, ma comunque la sua vicenda ha avuto una copertura mediatica. Pensiamo a quanti, con storie altrettanto pazzesche, non vanno sui giornali.

Il film punta molto sull’aspetto umano della storia di Crespi. La moglie Helene Pacitto è la voce principale e hanno un ruolo importante anche le testimonianze dei figli
I bambini in questi casi spesso sono considerati un ricatto psicologico allo spettatore. Io invece ho pensato il contrario. Sono protagonisti, sono stati segnati da ciò che è successo al padre. I loro racconti fanno impressione. Bimbi in età da scuola elementare che finalmente riescono a esprimere cosa hanno provato in questi anni. Le paure e i dubbi che avevano hanno trovato cittadinanza, una catarsi. C’è una scena in cui rivelano di aver mentito per proteggere i sentimenti dei loro genitori. I figli non possono stare fuori da questa storia perché altrimenti non se capisce la drammaticità. Quando Ambrogio è uscito di casa per andare in carcere ha detto loro che partiva per una missione segreta.

E come mai la scelta di non far parlare mai Crespi, il protagonista principale?
Perché è come se parlasse per tutto il film. È una sorta di fantasma, una presenza. Abbiamo deciso di dare voce a tutti quelli che sono stati con lui in questi anni, tutti i testimoni. Per me era più importante la parola di Helene, piuttosto che di Ambrogio. È stata una scelta istintiva. Lo spettatore entra in soggettiva nella storia, non attraverso lo sguardo del protagonista della vicenda. Ambrogio non avrebbe aggiunto nulla di diverso a quello che filtra dalle altre testimonianze. Se avrà qualcosa da dire, potrà farlo a Venezia.

A proposito di Venezia, il 6 settembre Stato di grazia verrà presentato alla Mostra del cinema, a due anni di distanza dalla grazia parziale di Mattarella
Il cinema è una specie di super sintesi. Nel settembre del 2021 Ambrogio fece il red carpet con un permesso carcerario, accompagnando il suo documentario Spes contra spem: Liberi dentro. Ora ci va nella sua forma migliore: da protagonista della sua storia. A battuta gli abbiamo detto: adesso, senza pene, non avrai più il modo di tornare a Venezia. Si è molto arrabbiato.

Si tratta della tua prima esperienza di regia, oltretutto dovendo dirigere un docufilm in cui il protagonista principale è un regista. Com’è andata?
È un regalo che Ambrogio mi ha fatto. Io ho girato Stato di grazia, ma senza di lui non avrei mai potuto dirigere il mio primo film. Il cinema è una lingua totalmente diversa. Cambia radicalmente la dimensione del racconto. Ti permette di tenere in cento minuti una vicenda così complicata. E grazie al film ora la sua storia è uscita nel mondo, non è più solo sua. Poi resta il fatto che Crespi è un regista. Anche se sta nella condizione di cattività più feroce, comunque non smette mai di essere un regista. Ce l’ha nel sangue. È una dimensione sacrale. Quando è venuto alle riprese ha dato delle indicazioni di regia. Quando l’ho consultato, ha dato dei consigli. Sia per analogia che per contrario, la sua influenza artistica c’è stata.

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