L’incremento dei casi di Covid in Italia come nel mondo come segnalato dai bollettini del ministero della Salute e in quello dell’Oms, impone l’attenzione sulle due varianti attualmente in circolazione. La variante BA.2.86 (Pirola) – su cui si sono concentrate le attenzioni nelle ultime settimane – molto probabilmente non sarà la nuova Omicron, che, a partire da novembre 2021, fu capace di diffondersi velocemente e portare il numero di contagi globali a cifre mai viste grazie a una quantità inedita di mutazioni. BA.2.86 condivide con Omicron l’elevato numero di mutazioni, tra cui una dell’ormai scomparsa variante Delta, e questa caratteristica ha fatto scattare l’allarme dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che l’ha subito inserita tra le varianti sotto monitoraggio.
Due studi condotti indipendentemente all’Università di Pechino e al Karolinska Institutet di Stoccolma ipotizzano che anche se Pirola è capace di eludere la risposta immunitaria, è meno contagiosa rispetto alle altre varianti attualmente in circolazione. Le due ricerche non sono state ancora revisionate dalla comunità scientifica, ma arrivano da laboratori considerati molto affidabili: quello di cui è membro Cao Yunlong, ricercatore inserito dalla rivista Nature tra le dieci persone che hanno più influenzato il panorama scientifico nel 2022 proprio per il suo impegno nella ricerca sulle varianti, e quello di Benjamin Murrell, dedicato all’immunologia e alla virologia al Karolinska Institutet. I due ricercatori hanno diffuso i risultati su Twitter.
Secondo le due ricerche, BA.2.86 è capace di sfuggire all’immunità sviluppata con precedenti infezioni o con il vaccino, tuttavia in chi ha contratto infezioni di recente la risposta immunitaria non è del tutto inefficace. Ciò potrebbe indicare che la vaccinazione è in grado di fornire una qualche protezione contro il nuovo ceppo del virus. Non meno importante il fatto che la variante non abbia una grande capacità di diffondersi: “Abbiamo scoperto che BA.2.86 mostra un’infettività cellulare inferiore rispetto a XBB.1.5 ed EG.5”, afferma Cao Yunlong.
Intanto, una ricerca pubblicata sulla piattaforma bioRxiv aggiunge nuove informazioni sulla variante EG.5 (Eris), da qualche giorno dominante su scala mondiale e in crescita anche in Italia dove, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, a metà agosto aveva già raggiunto il 25,8% dei contagi. La ricerca, condotta dall’università di Tokyo, ha rilevato in esperimenti su criceti che la variante sembra avere una maggiore capacità di infettare i polmoni. Ciò potrebbe tradursi, almeno in una parte dei pazienti, in manifestazioni più severe di Covid-19. Al momento si tratta di un’ipotesi che necessita di conferme; nella sua valutazione di inizio agosto l’Oms aveva escluso che Eris potesse comportare rischi aggiuntivi rispetto alle altre varianti circolanti. Aveva però messo in conto che avrebbe potuto causare un aumento dei contagi.
È quello che sta accadendo: su scala globale, da qualche settimana i nuovi casi di Covid-19 hanno ripreso a crescere. Prima in Estremo Oriente, soprattutto in Corea del Sud, ora anche in Europa con un +39% rispetto a un mese fa. L’Italia non fa eccezione: secondo l’ultima rilevazione dell’Iss tutti gli indicatori sono in salita: +28,1% i casi positivi, +47,7% i decessi; +1,3% il tasso di positività ai tamponi. Al momento, invece, non arrivano segnali di sofferenza dagli ospedali. Il trend della pandemia e dati sulle varianti, tuttavia, riaccendono l’attenzione sull’importanza della vaccinazione: nei giorni scorsi l’Agenzia europea del farmaco (Ema) ha dato il primo via libera al vaccino aggiornato a XBB.1.5 di Pfizer e BioNTech. Secondo le aziende, il prodotto protegge dalle varianti XBB, compresa Eris, che discende da XBB.1.9.2. Il vaccino è atteso per ottobre; è raccomandato alle persone anziane e con elevata fragilità, alle donne in gravidanza e agli operatori sanitari. Potrà essere consigliato, inoltre, a familiari e conviventi di persone con gravi fragilità.