Cultura

Il re di tutti – ritratto di Stephen King: il libro da leggere se volete conoscere il grande romanziere (meglio di come lo conoscete già)

L'autore del romanzo si chiama Luca Briasco e da traduttore sta dietro ai riccioli lessicali e alle strutture sintattiche da paura dell’autore del Maine dal 2018

di Davide Turrini

Chi è Stephen King e perché parlo bene di lui. Se c’è qualcuno di più kinghiano di un fan di Stephen King questo è il traduttore italiano più recente dei romanzi di King. Si chiama Luca Briasco e sta dietro ai riccioli lessicali e alle strutture sintattiche da paura dell’autore del Maine dal 2018. Cinque anni cosa volete che sia, direte. Beh chiedetelo a Briasco vicino ad un esaurimento pile da tempo, ma che proprio nell’introduzione di Il re di tutti – ritratto di Stephen King (Salani) ricorda: “In questo mi sono cacciato e mi domando come abbia fatto Giovanni Arduino e reggere per undici titoli, per non parlare di Tullio Dobner”. King scrive come un rullo compressore, “la mattina, dalle due alle tre ore al giorno, ma sette giorni la settimana fermandosi solo per Natale, per il 4 luglio e (dicono alcuni) per il suo compleanno”, praticamente un libro all’anno e vuole che il romanzo esca pressoché in contemporanea tra Usa e Italia.

Dal 2018 al 2023, in cinque anni, Briasco ha tradotto sei romanzi e l’ultimo, Holly, uscirà a settembre 2023. Briasco però resiste e anzi rilancia da kinghiano di ferro qual è con una biografia agile e devota capace di mostrare la panoplia kinghiana in tutto il suo splendore compositivo e spessore letterario. Già, perché King, 70 romanzi e 400 milioni di copie vendute nel mondo, sconta parecchie ritrosie che la critica azzimata prova per la letteratura di genere, perlopiù di successo commerciale. Del resto King stesso ha definito la sua produzione come “l’equivalente letterario di un Big Mac con le patatine”. Briasco però non vuole lasciare nessun conto in sospeso, prima di tutto riprendendo lo stesso King che fa risiedere l’origine del suo successo “proprio nel fatto che non c’è nessuna differenza sostanziale tra me che scrivo e voi che leggete”.

E ancora mentre se Updike e la Oates, ad esempio, scrivono libri su persone straordinarie in situazioni ordinarie, King fa il contrario: scrive libri su persone ordinarie in situazioni straordinarie. Ed è nella collocazione fortemente di genere, tra horror in primis con tendenze sovrannaturali, ma anche thriller, fantascienza distopica, fantasy e mistery che l’oggi 75enne che da ragazzo non ne ingranava una, finchè sua moglie Tabitha non ha recuperato dal pattume il brogliaccio appallottato e rifiutato da molti editori facendolo diventare Carrie lo sguardo di satana, sviluppa l’impianto da cultura popolare da “scrittore di trama”, quindi di storie dove “non si ha paura dei mostri: ma si ha paura per le persone”.

È ricchissima nel libro l’aneddotica più o meno conosciuta di un personaggio pubblico adorato come una rockstar. Anche se il tentativo dell’autore è quello di andare oltre la retorica gossippara della villa di Bangor con la cancellata piena di ragnatele e pipistrelli per arrivare ad una sorta di analisi alta dell’autore di capolavori come It e Shining nel tentativo di carpiato simbolico tra privato e pubblico, tra intimità personale di “Steve”, traumi infantili e adolescenziali e una forte critica socio-politica del conservatorismo statunitense. “L’horror per Steve è lo strumento perfetto per analizzare e trasporre in potenti architetture simboliche l’America nella quale è nato e cresciuto”. Briasco adopera non solo i più generici strumenti d’analisi e di raffronto trasversale di temi ricorrenti tra le opere kinghiane, ma ci aggiunge il trasporto emotivo del neofita come la passione e il rigore del mestiere del traduttore coinvolto nell’impresa complessa di mantenere la voce dell’autore originario senza tradirla mai.

Ne esce un libro che spazia con rispetto e pudore dentro la vita di King. In quella fenditura ampia e profonda dell’assenza del padre, della dipendenza da cocaina e alcol, del terribile incidente subito nel 1999, del trauma originario che lo avrebbe gettato nel terrore ovvero i pezzi del corpo di un amichetto spappolato contro un treno in corsa raccolti con un cesto di vimini. L’autore compie un suo percorso tra i testi kinghiani elevandone alcuni, non a torto, come It (“la non cesura tra realtà e immaginazione”), Shining (“il film è stato realizzato da un uomo che pensa troppo”), Pet Sematary, Le notti di Salem, e ricordando che forse il primo vero racconto del nostro sia stato Mr. Rabbit Trick, dove un coniglio bianco gira per la città insieme ad altri tre animali per dare una mano ai bambini in difficoltà. Un paio di curiosità, infine. Briasco spazia anche all’interno dei meandri del King più cospirazionista (anche se si sa è antitrumpiano fino al midollo) analizzando il suo L’incendiaria e quella sorta di deep state che nel libro si chiama La Bottega, sorta di servizi segreti deviati che si occupano di esperimenti scientifici estremi, dalla telepatia alla guerra batteriologica, per gli Stati Uniti. E tocca anche ciò che perfino molti tra i fan più agguerriti sfiorano a tavola con i commensali più fidati: Steve non scrive un libro memorabile da almeno un paio di decenni. “Sarebbe eccessivo e ingeneroso affermare che Steve è diventato la parodia di se stesso – chiosa l’autore/traduttore – è indubbio che i libri più recenti rappresentano un ritorno a molti dei temi che hanno scandito la sua prolifica carriera”.

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