Sulla carta è una sfida impossibile e infatti, dopo la chiusura del girone al primo posto, l’Italia di Gianmarco Pozzecco sperava che la doppia vittoria contro Serbia e Porto Rico servisse proprio a evitare l’incrocio peggiore. Eppure agli Azzurri toccherà affrontare comunque gli Usa allenati da Steve Kerr, complice la loro sconfitta – brutta, chissà se e quanto ‘tattica’ – al cospetto della Lituania. Lo strafavorito Dream Team sulla strada verso la semifinale dei Mondiali, come ad Atene nel 1998, cioè l’ultima volta che l’Italbasket è entrata tra le otto grandi del globo. Dopo 25 anni di assenza, la fortuna ha girato le spalle alla Nazionale. Colpa della Dea bendata e solo sua, perché Simone Fontecchio e compagni avevano fatto tutto quel che c’era da fare per apparecchiare un quarto umano e tentare così l’assalto a una medaglia, andando oltre ogni più ottimistica aspettativa della vigilia.

Invece zero: toccherà sfidare Anthony Edwards, Jalen Brunson, Mikal Bridges, Tyrese Haliburton, Austin Reaves e tutti gli altri scelti per il Team Usa. Assenti i super-big, certo, ma vai a chiamare “seconde scelte” nomi di questo calibro, compreso Paolo Banchero, la stella degli Orlando Magic, miglior esordiente dell’anno in NBA, uomo desiderato e corteggiato dal presidente del Fip Gianni Petrucci e da Pozzecco in virtù delle sue origini italiane. Un nonno ligure aveva fatto solleticare l’idea che potesse vestire l’azzurro, il numero uno del movimento e il coach erano perfino volati negli Stati Uniti. Banchero ha preso tempo e alla fine, come prevedibile, ha scelto il Paese dove è nato. Alla vigilia del faccia a faccia ha usato parole di circostanza sui prossimi avversari e risposto con un secco “no” a chi gli chiedeva se avesse un messaggio per i tifosi azzurri.

L’Italia è rimasta senza lungo e senza nome di calibro mondiale ma – ed era già avvenuto nel 2021 alle Olimpiadi e lo scorso anno all’Europeo – ha trovato dentro al gruppo la sua forza: il sacrificio come stella polare, l’energia e l’emotività di Pozzecco come lubrificante di tutto. Del talento di Fontecchio, della solidità su entrambi i lati del campo di Nicolò Melli, dell’esperienza di Gigi Datome, dell’esplosività di Stefano Tonut, del tiro mortifero di Marco Spissu, dell’attitudine difensiva di Alessandro Pajola, della concretezza di Pippo Ricci e della utilità di Luca Severini. All’appello dei nomi che si sono alternati come leader in diversi momenti della spedizione mondiale è finora mancato Achille Polonara, ancora alla ricerca di una fiducia scomparsa al tiro dopo il finale di stagione azzoppato da un infortunio. Senza dimenticare la possibilità di attingere dalla riserva di talento rappresentata da Matteo Spagnolo e Gabriele Procida, i due giovani azzurri che faranno coppia all’Alba Berlino e chissà per quanto in azzurro.

Per compiere l’impresa, mai il termine fu meno abusato, sarà necessario tutto ciò che l’Italia ha finora fatto di buono, tutto ciò che le è mancato, tutto ciò che è andato a corrente alternata, come la precisione al tiro da 3, e servirà tutto insieme. In altri termini, Pozzecco dovrà riuscire a cavare una prestazione enorme dei suoi. E chissà se basterà. Da quando il Team Usa schiera i suoi campioni NBA, gli Azzurri hanno sempre perso negli incroci Mondiali (e non solo). Nel 2006 finì 96-85, diciotto anni prima gli Stati Uniti si imposero 80-77 ed erano sempre quarti di finale. Andando indietro nel tempo, esiste solo la vittoria, griffata da un canestro di Renzo Bariviera, del 21 maggio 1970. Per quel che vale, visto che all’epoca i campioni Usa snobbavano – assai più delle “seconde file” odierne – le partite della loro nazionale.

C’è poi il dolce ricordo, antipasto amichevole dell’Olimpiade tinta d’argento che sarebbe venuta di lì a poco. È datato 2004 e localizzato a Colonia, in Germania. Finì 95-78 dopo 40 minuti in cui l’Italia sorprese in avvio le stelle Tim Duncan, Allen Iverson, Lamar Odom, LeBron James, Carmelo Anthony e tutti gli altri e poi iniziò una resistenza infinita, guidata da Giacomo Galanda e Gianluca Basile, rispettivamente autori di 28 e 24 punti. A stendere gli americani ci pensò anche Gianmarco Pozzecco, 11 punti e 8 assist. Dopo un’azione in cui ammattì Iverson, si girò verso il pubblico e si esibì in un inchino. Anni dopo l’ex playmaker e ora allenatore degli Azzurri raccontò: “In spogliatoio scommettevamo su quanti ne avremmo presi: Bulleri buttò li un -60. Poi, non mi ricordo chi, disse che avremmo potuto perdere anche solo di 20: scoppiammo tutti a ridere e lo mandammo affancu…”.

In panchina allora sedeva Carlo Recalcati, che c’era anche in campo nel 1970 e ci sarà pure a Manila come senior coach di Pozzecco. Quella serata tedesca, con tutto il pubblico schierato al fianco dei giganti Usa, l’ha raccontata così: “C’era la classica atmosfera da partita degli Harlem Globetrotters dove per forza deve esserci un avversario per il loro spettacolo, ma è assolutamente ininfluente”. All’epoca il più anziano del gruppo che scenderà in campo oggi, Gigi Datome, non aveva ancora compiuto 17 anni e l’avrà vista sul divano. Il più piccolo, Matteo Spagnolo, era un neonato e semmai l’avrà recuperata su Youtube. Tutti però sanno che voltandosi verso la panchina troveranno due di loro che c’erano, che sanno come si fa e che si può fare. Provarci, almeno. Palla a due alle 14.40. Senza pressione né cattivi pensieri. È così che si cullano i sogni, no?

Twitter: @andtundo

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