di Fiore Isabella
Caro generale Vannacci, il Suo libro va a ruba non perché scritto bene o perché i suoi contenuti producano emozioni che ingentiliscono l’anima. Se i contenuti del suo libro, inneggianti alla superiorità di razze, di colori di orientamenti sessuali rispetto ad altri, li avessi pubblicati io, che non posseggo gradi, né mostrine, né medaglie da esibire, mi avrebbero riso appresso e riempito di pernacchie. Ma a Lei tutto è consentito, anche di sputare sull’articolo 3 di quella Costituzione sulla quale ha pure giurato.
Vede, generale, anch’io mi sono permesso, da maestro elementare e non da generale, di scrivere, in un impeto di amore e di rimpianto, un libro La scuola secondo Mattia con al centro il dolore di vivere in un mondo in cui è difficile fare parti uguali tra disuguali, come diceva Don Lorenzo Milani. Per Lei è stato più semplice, forte delle sue stellette, decantare un mondo per Lei ortodosso da opporre ad una schifezza di mondo al contrario. E se nel mondo che Lei considera alla rovescia è maturata la testimonianza pedagogica e umana del mio alunno down (Mattia) che non c’è più, vuol dire che quel mondo è stato capace di dare dignità alla persona in difficoltà e non l’occasione per trasformarla in uno scarto. Se non altro perché in quel mondo essere diversi può voler dire anche essere “risorse” e non essere necessariamente collocati in una classifica stilata con criteri gerarchici, con i testa i cosiddetti normali ed in coda quelli non considerati tali.
No Generale, di quel testimone della mia lunga, e da anni conclusa, esperienza nella scuola mi è rimasto come un marchio di indelebile umanità quel suo chiamarmi “nonno” e non “maestro”. Allo stesso modo di quel chiamarmi “papà” di quel ragazzo maliano al quale ho insegnato a scrivere e a leggere in italiano quel tanto che gli consenta di far fronte alle sue esigenze di comunicazione anche nel mondo da Lei diviso in uguali e disuguali.