Una vita da “partigiano”, questo, forse, il modo migliore per riassumere la vita di Giuliano Montaldo, regista, autore, interprete, ma, soprattutto, partigiano sempre, comunque, dovunque. Partigiano significa essere dalla parte della giustizia sociale, della dignità umana, della libertà, senza distinzione di classe, colore della pelle, opinioni politiche e religiose, come recita la Costituzione.

Giuliano Montaldo, sin dalla sua giovinezza, aveva scelto di stare dalla parte degli “umiliati e offesi”, di imbracciare le armi per cacciare i nazisti e i traditori fascisti. Ironico, autoironico, colto, raffinato, capace di cogliere ovunque i segni della contraddizione e di rappresentarli; illuminato sempre da un pensiero critico, ma sempre innervato dalla speranza.

In prima fila in ogni lotta contro la censura, i bavagli, gli editti, nelle sue opere e nella sua vita.
Come altro definire Sacco e Vanzetti e Giordano Bruno, se non un inno alla libertà della ricerca, della politica, del pensiero critico? I suoi protagonisti, siano essi il filosofo nolano o i due anarchici italiani assassinati sulla sedia elettrica, rappresentano chi non vuole piegare la testa di fronte al dispotismo, alla soppressione dei diritti, alla cancellazione delle differenze e delle diversità.

In entrambi i film giganteggia Gian Maria Volontè, amico e compagno di tante battaglie civili, politiche e culturali, uniti dalla condivisione dei valori comuni, davvero “compagni” nel senso letterale della parola: colui con il quale si spezza e si condivide il pane. Di Gian Maria Volontè diceva che per comprendere cosa sia un attore bisognava averlo conosciuto e viste le sue interpretazioni.

I suoi film sono stati tantissimi e mai banali: Gli occhiali d’oro, Il giocattolo, Tiro al piccione, senza trascurare la ricostruzione dei viaggi di Marco Polo, trasmessa dalla Rai. Come dimenticare L’Agnese va a morire, un delicato racconto di lotta partigiana che vede protagonista, forse per la prima volta, una donna, rompendo una lunga tradizione di narrazioni tutte al maschile?

Potremmo ancora parlare del Montaldo, interprete, persino un cammeo nel Caimano di Nanni Moretti, del presidente di Rai cinema, sempre attento alla scoperta di nuovi talenti, o del Montaldo promotore, con l’Anac, associazione nazionale degli autori del cinema, di indimenticate e indimenticabili lotte per superare lo statuto fascista che, allora, regolava le attività della Biennale o della Rassegna cinematografica di Venezia. E ancora le lotte con Pasolini, Scola, Gregoretti, Monicelli, i fratelli Taviani… per promuovere il cinema italiano, per tutelare il diritto non solo degli autori, ma anche di delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo.

Noi di Articolo21 gli dobbiamo molto perché è stato uno dei garanti dell’associazione, ci ha accompagnato in questi anni, non ha risparmiato consigli e critiche, ma sempre accompagnate dal sorriso di chi non voleva ferire, ma stimolare nuovi fermenti, indicare strade meno scontate, scorgere le oscurità da illuminare. Non gli piaceva la stagione presente e lo aveva ricordato in occasione del 25 aprile. Come avrebbe potuto piacergli il tentativo in atto di spiantare Costituzione e di equiparare fascisti e antifascisti?

Nell’ultimo incontro in occasione dei suoi 90 anni ci aveva invitato a contrastare con determinazione revisionismi, negazionismi, intolleranze, razzismo, perché questo era Giuliano Montaldo e i suoi semi continueranno a generare nuovi raccolti per usare una frase di Alcide Cervi, da lui tanto amata: “Dopo un raccolto ne viene un altro”.

Un abbraccio a sua figlia Elisabetta, ai suoi nipoti, e alla sua compagna di una vita, Vera Pescarolo, “la mia musa”, come amava dire. Se qualcuno volesse davvero comprendere il loro rapporto e la loro straordinaria avventura umana veda o riveda “Vera e Giuliano” su Raiplay: non un testamento, ma una promessa rinnovata sempre e per sempre.

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