Cultura

Il lato “oscuro” di Lucio Battisti svelato nella nuova biografia di Donato Zoppo: ecco un estratto in anteprima esclusiva

Un libro “filologico”, in cui Battisti è raccontato per così dire “dall’interno”, cioè da sé stesso, attraverso le sue stesse parole

di F. Q.

C’è una pagina poco conosciuta nella vita artistica e personale di Lucio Battisti. Una pagina che non appartiene agli inizi della sua carriera, ma alla sua piena maturità. Quando all’inizio degli anni Ottanta si esaurisce il rapporto con Mogol, Lucio attraversa una fase di profondi ripensamenti. E’ un momento di passaggio, delicato e in parte oscuro. Coincide con l’uscita di un disco raffinato e arcano, quasi onirico, che anticipa i modi del Battisti futuro e allo stesso tempo resta un unicum nella sua produzione.

E’ il 14 settembre 1982. La Numero Uno pubblica E già: è il primo album di Battisti dopo la discussa separazione da Mogol. I testi sono ufficialmente della persona a lui più vicina: Grazia Letizia Veronese, sua moglie, che per l’occasione è ribattezzata Velezia.

Ma nei solchi dell’LP è Lucio che canta in prima persona. Qui come non mai Battisti si scopre a parlare di sé, senza filtri, senza mediazioni né pudori. E già è un diario, un’autobiografia in musica e parole, quasi stupefacente per il più riservato ed enigmatico dei musicisti italiani. Gli amori passati e quello presente per la donna della sua vita. Le passioni musicali e quelle per la vita all’aria aperta, le paure, le timidezze, le speranze per il futuro. Grazie anche all’ingresso prepotente dell’elettronica, Battisti raggiunge qui un equilibrio misterioso di aggiunte e sottrazioni, che è “battistiano” come non mai.

È partendo da questa intuizione che Donato Zoppo ha scritto una originale biografia di Lucio, a ottant’anni dalla nascita. Si intitola “Lucio Battisti – Scrivi il tuo nome su qualcosa che vale” ed è in uscita oggi, 6 settembre, per Compagnia editoriale Aliberti. Un libro “filologico”, in cui Battisti è raccontato per così dire “dall’interno”, cioè da sé stesso, attraverso le sue stesse parole. Canzone per canzone: perché ogni brano di E già è un frammento di vita. Basta solo saperlo decifrare e leggere nel senso giusto, come l’autore di questo libro ci aiuta a fare.

…Roma, estate 1981…

«Ah Pappafico!»
«Chi sei?»
«Ma come chi sò? Aò, solo uno te chiama così»
«No! Lucio!»
«Come stai Pappafi’? Da quanto tempo nun te vedevo. C’hai ‘a stessa maglia de baseball de la televisione…»
«Sfotti sempre, Lucio, però ti trovo in forma»
«Ma quale forma Pappafì, dovrei fa’ un po’ de movimento, altro che portà le buste ar mercato»
«Allora vieni con me, dai! Pratico windsurf, immersione, corsa, parapendio, c’hai l’imbarazzo della scelta»
«Ah Pappafi’, tu stai minando un mio principio, stai minando una mia regola interiore, stai minando un mio modo di essere. Mini, mini, mini: ma che sei, un minatore?».

La mattina a Ponte Milvio è una gioia.
Il ponentino si intrufola tra le bancarelle, una lontana brezza di mare malandrina dà respiro al mercato, che da tre anni è persino più vivace, da quando l’area è diventata completamente pedonale. Ancora non ci sono i lucchetti dell’amore sul lampione centrale del ponte, di tanto in tanto qualcuno lo sente molleggiare: le signore che puliscono con cura i carciofi, i venditori più esotici che mettono in mostra avocado e lime, la vecchietta con le puntarelle che non sarebbe ancora il loro tempo ma sono irresistibili. E Adriano Pappalardo.
Lucio lo avvista mentre regge impettito le buste di patate, collo taurino e mascellone pieno, con la chioma un po’ meno regale rispetto al Festivalbar del 1979, quando aveva tenuto in pugno il pubblico dell’Arena di Verona con una trionfale Ricominciamo. È più tranquillo, finalmente ha ottenuto il successo che cercava, inoltre l’attività fisica che sta svolgendo con uno spirito olistico, si dirà tra qualche anno, lo ha fatto maturare. Adriano è al mercato rionale con la moglie Lisa per la sua salutare spesa di ortaggi, da sportivo rigoroso qual è. Il fitness sta muovendo i primi passi, sulla scia di Jane Fonda e del Jazzercise di Judi Sheppard Missett in Italia si affermano Barbara Bouchet e Sydne Rome. Dopo un decennio di ideologia e impegno si scopre la cura del corpo, le palestre cominciano a riempirsi, anche le più insospettabili personalità dello spettacolo ne sono affascinate, come dimostrerà la copertina di Discogreve di un Enzo Jannacci muscolare con bilanciere e canotta. Grazie ad Adriano questa attenzione all’equilibrio psicofisico contagerà anche Lucio.

…Roma, gennaio 1982…

Una mattina di gennaio, imbacuccato per proteggersi dal freddolino romano, Lucio si avvia da Musicarte. Non che gli manchino gli strumenti, nel suo studio è circondato da un castello di tastiere Prophet, Oberheim, Arp Odissey e Roland, materiale all’ultimo grido col quale si sente un po’ Jarre, un po’ Vangelis. Se negli anni della sua formazione ha esplorato la chitarra sia nella composizione che nella resa sonora ed espressiva, ora affronta l’elettronica, una tappa obbligata in un periodo così ricco, pensiamo ad esempio al 1979 di Ry Cooder, Giorgio Moroder e Christopher Cross, che pubblicano i primi album registrati in digitale. Nel negozio romano Lucio sta cercando qualcosa di rivoluzionario, che si riassume nella sigla CMI: Computer Musical Instrument.
Informato grazie al mensile «Fare Musica» e ai nuovi dischi che sta seguendo, ha appreso della commercializzazione di questo strumento che reputa indispensabile per ciò che ha in mente. Gli aveva già accennato qualcosa Peter Gabriel durante uno dei caffè presi nelle pause ai TownHouse. In quel periodo Gabriel incontra Peter Vogel, fondatore della Fairlight, il quale gli illustra la recente invenzione: si chiama Fairlight CMI, un campionatore a tastiera collegato a un computer, con il quale è possibile archiviare suoni, manipolarli con una penna ottica, registrare.
Entrato da Musicarte Lucio fa un incontro. Conosce Dario Massari:
«Nel gennaio del 1982 cominciai a lavorare da Musicarte. Venivo dal mondo degli amplificatori, dei dischi, ero stato direttore tecnico di «Fare Musica», provavo tutti gli strumenti così mi assegnarono un gabbiottone dove potevo armeggiare con drum machine, synth, mixer e tante altre cose, cablarle e registrarle a scopo dimostrativo. Mi occupavo anche del Fairlight CMI, appena entrato in corso, che fu il primo strumento a essere computerizzato con uno schermo e permetteva di registrare otto tracce una dopo l’altra. Battisti entrò per curiosare e ne restò impressionato: a partire da febbraio, dopo avermi telefonato sempre più incuriosito ed entusiasta, cominciò a prendere lezioni da me».

… Mother Ivey’s Bay, estate 1982…

Un grande specchio sulla sabbia. Lucio parla con il suo riflesso. La riva poco distante, una scogliera tutta intorno, in alto a sinistra si intravede una costruzione bianca. Bianco anche il vestito, indossato in una limpida e tiepida mattina estiva. In posa ieratica. Gli piace quell’abito. Lo ha portato dall’Italia, da dove è arrivato con una delle sue divise, l’abituale felpa rossa, pantaloni bianchi e giaccone verde, ha anche sistemato i capelli. Poco prima il fotografo, un inglese simpatico dalla favella giusta, mai una parola fuori luogo, gli ha ritratto pure le scarpe sulla sabbia. Bianche. Se nuovo percorso deve essere, tocca cominciare dal passo. Preludio alla direzione. E quel bianco che dominerà tutto evoca purezza, candore: una vestizione per un nuovo cammino.
Lucio osserva il suo doppio specchiato indossando occhialoni dalla montatura bianca, altro che Elton John. Sta ragionando un po’ con sé stesso. Lo ha fatto tante volte durante la genesi di questo disco, un verticale maniacale come lui a volte si consuma nei pensieri. Quando però si lascia andare, allora entra in contatto con una parte onirica, se lo ricorda davanti alla lastra conficcata nella sabbia, su cui batte un sole fortissimo. Sole della Cornovaglia. Ha sognato questo posto: gli è apparsa una baia nordica circondata dagli scogli e dalle rupi su cui svetta una casa bianca, gli è rimasta addosso la sensazione di un luogo accecante di rinascita, di approdo, svestizione, rigenerazione. La copertina dovrà evocare questa ripartenza.
Tra i fotografi papabili il più gradito è un gigante: Gered Mankowitz. Londinese, classe 1946, ha aperto il suo studio nel 1963 e ha cavalcato da protagonista l’effervescenza della Londra anni ’60, cosmopolita e artistica. È l’autore di tante copertine con cui Lucio è cresciuto, come Out Of Our Heads e Between The Buttons dei Rolling Stones; ha ritratto Jimi Hendrix e Marianne Faithfull, i Traffic, Suzi Quatro, Elton John, i King Crimson, Kate Bush e tanti altri. RCA lo chiama, gli rivela il sogno di Lucio, Gered risponde all’appello e magicamente trova la spiaggia sognata: è nella parte nord della Cornovaglia, si chiama Mother’s Ivey Bay.
Il suo ricordo è ancora vivo: «Non avevo mai sentito parlare di Lucio Battisti, fui contattato dalla sua casa discografica che mi spiegò che i suoi album erano considerati dei capolavori e che per questo nuovo Lp teneva in modo particolare alla copertina. Il lavoro grafico da realizzare era una parte importante dell’intera opera. Non avevo visto le precedenti ma non era rilevante, contava la sua ispirazione, che gli venne in sogno: si vide su una spiaggia, tra le scogliere e una piccola costruzione in cima a uno scoglio. Trovammo una location che sembrava essere adatta allo scopo e in linea con la sua visione. Ho un bel ricordo dello shooting, davvero lieto, spensierato, pieno di gioia e sorrisi, ma anche scherzi un po’ stupidi che ci facevamo. Lucio era quanto mai gentile e cortese, di grande compagnia, completamente presente nel lavoro, non faceva il divo e volle essere coinvolto anche nei problemi tecnici e meteorologici. Ci teneva a far sì che quella copertina fosse un successo».

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