Dopo aver imparato a costruire automobili qualitativamente appetibili anche sui mercati europei – sfruttando il know-how acquisito dai costruttori occidentali, obbligati a siglare joint venture con quelli cinesi per poter fabbricare veicoli in Cina, sfruttando il basso costo della manodopera locale – ora i car makers della Repubblica Popolare hanno lanciato la loro offensiva commerciale globale. Che è basata sulle auto elettriche: non potendo essere realmente competitivi nel campo delle automobili termiche e ibride (troppo il gap tecnologico da recuperare), i cinesi hanno astutamente puntato forte sulle vetture a batteria, un terreno di gioco “nuovo” per quasi tutti i costruttori storici. E lo hanno fatto acquisendo il controllo pressoché totale delle risorse necessarie per costruite gli accumulatori, cuore delle automobili alla spina, a prescindere dal loro passaporto.

L’ascesa dei produttori cinesi di veicoli elettrici, quindi, minaccia le case automobilistiche occidentali: a sostenerlo è un rapporto degli analisti di UBS Group, riportato dalla testata specializzata Autonews.com, che hanno tradotto in numeri i timori espressi a più riprese dalle aziende automotive del vecchio (e del nuovo) continente. Il quadro che ne emerge è chiaro: il vantaggio competitivo dei cinesi risulta attualmente incolmabile. Secondo il report di UBS Group, infatti, i costruttori occidentali sono destinati a perdere un quinto della loro quota di mercato globale a causa dell’inarrestabile ascesa dei veicoli elettrici “Made in China”, più accessibili ai consumatori perché meno costosi da produrre.

Guidati dal colosso BYD, si stima che i costruttori della Repubblica Popolare raddoppieranno la loro fetta di mercato al 33% già entro la fine del decennio. “L’industria automobilistica mondiale subirà cambiamenti ‘sismici’ nei prossimi 10 anni”, ha dichiarato Paul Gong, responsabile della ricerca prodotta dalla UBS. Il rapporto in questione prevede che la quota di mercato globale delle case automobilistiche occidentali scenderà dall’81% al 58% entro il 2030. “Sarebbe un momento di crisi per le aziende occidentali”, sostiene Gong. Unica a beneficiare della rivoluzione in corso potrebbe essere l’americana Tesla, che potrebbe salire all’8% del mercato dall’attuale 2%.

Come detto, è tutta una questione di competitività: ad esempio la suddetta BYD, il marchio automobilistico più venduto in Cina, ha un vantaggio di costo del 25% rispetto ai marchi nordamericani ed europei. Il che dà all’azienda di Shenzhen un’ampia potenza di fuoco per scalzare i rivali sul territorio cinese mentre si espande a livello globale.

Non solo, in ballo c’è una catena del valore quasi ineguagliabile, Prendiamo in considerazione la BYD Seal: il 75% dei componenti di questa berlina elettrica è prodotto internamente dall’azienda. Una percentuale doppia rispetto alla media mondiale, che contribuisce a far comprendere la posizione di forza del costruttore in termini di costi produttivi e controllo delle forniture di componentistica, completamente integrate. Solo il 10% o meno dei componenti della Seal sono provenienti da fornitori stranieri.

Producendo anche batterie e semiconduttori in casa, BYD ha pure un vantaggio di costo del 15% rispetto alla berlina Model 3 di base prodotta in Cina da Tesla e di oltre il 30% rispetto alla ID.3 della Volkswagen. Non a caso, BYD ha scalzato VW dalla posizione di marchio automobilistico più venduto in Cina nel 2023.

Secondo le stime di UBS per il mercato globale nel 2030, le case automobilistiche cinesi non attecchiranno molto negli Stati Uniti – il secondo mercato del’auto mondiale – né avranno particolare successo in Giappone, Corea del Sud e India, Paesi che hanno tutti forti costruttori nazionali. Oltre a quello della Repubblica Popolare (il più grande del mondo) quale mercato rimane nel mirino dei cinesi, quindi? Esatto, quello europeo: e la dimostrazione plastica di questi intenti di conquista sta andando “in onda” proprio in queste ore al Salone dell’auto di Monaco di Baviera.

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