Oltre 600 carabinieri, in tutta Italia, stanno eseguendo 84 misure cautelari: 29 indagati in carcere, 52 ai domiciliari e per 3 indagati il gip Filippo Aragona ha disposto l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. È scattata stamattina all’alba l’operazione “Maestrale-Carthago” della Dda di Catanzaro contro le cosche di Vibo Valentia. Coordinata dal procuratore Nicola Gratteri e dai pm Antonio De Bernardo, Annamaria Frustaci e Andrea Giuseppe Buzzelli, il blitz di oggi è il secondo tempo dell’inchiesta da 167 indagati che a maggio aveva portato a 61 provvedimenti di fermo. La Direzione distrettuale antimafia ha fatto luce sul locale di Mileto ed alcune articolazioni territoriali del locale di Zungri. Tra gli arrestati ci sono nomi di primo piano della ‘ndrangheta vibonese come i boss Luigi Mancuso detto il “Supremo” e Giuseppe Antonio Accorinti detto “Peppone”.
Ma nella rete della Procura sono finiti non solo i capi cosca, i luogotenenti dei clan e gli affiliati. Oltre a ridisegnare la geografia delle famiglie mafiose della zona, infatti, i pm di Catanzaro hanno colpito i “colletti bianchi”. Tra gli arrestati, infatti, ci sono avvocati, esponenti politici locali e rappresentanti delle pubbliche amministrazioni. In carcere è finito l’avvocato Francesco Sabatino difensore di molti imputati del processo “Rinascita-Scott”. Il suo nome compariva già in numerosi atti del maxi processo in corso all’aula bunker di Lamezia Terme. Ai domiciliari, inoltre, sono finiti l’ex sindaco di Briatico ed ex presidente della provincia di Vibo Valentia Andrea Niglia, l’avvocato Joan Azzurra Pelaggi (candidata alle elezioni comunali di Vibo Valentia nel 2015 con la lista del Pd) e Cesare Pasqua, l’ex direttore del Dipartimento di prevenzione dell’Asp di Vibo. Quest’ultimo è il padre di Vincenzo Pasqua (non indagato), l’ex consigliere regionale eletto con il centrosinistra nel 2014 con la lista “Oliverio Presidente” e poi transitato al centrodestra che lo ha ricandidato con la lista “Jole Santelli Presidente” quando però non è stato eletto.
Dagli atti del blitz di maggio era emerso che Pasqua si sarebbe “messo a disposizione” dei Mancuso e dei Fiaré “asservendo, mediante l’abuso e mercimonio della funzione pubblica ricoperta, la struttura pubblica alle esigenze dell’organizzazione, consentendo alla criminalità organizzata vibonese di infiltrarsi negli affari di proprio interesse, intervenendo in favore del sodalizio in occasione di problematiche burocratiche sorte nell’ambito di procedure amministrative di competenza dell’Asp, ovvero di controlli e sequestri amministrativi posti in essere nei confronti di imprese di interesse delle cosche”. In questo modo, il dirigente sanitario indagato avrebbe ottenuto “protezione mafiosa per la risoluzione di problemi e, in occasione di competizioni elettorali che vedevano candidato il figlio Vincenzo Pasqua l’appoggio elettorale, in favore di questi, delle cosche di ‘ndrangheta da lui agevolate”.
“Si è concluso – ha affermato in conferenza stampa il procuratore Gratteri – un lavoro molto importante che ha riguardato in particolare la provincia di Vibo Valentia che abbiamo sempre curato con attenzione perché riteniamo che lì ci sia una ‘ndrangheta di serie A che controlla tutto, anche il respiro e il battito cardiaco di certi pezzi del territorio. Il lavoro di oggi che ha portato all’arresto di 81 presunti innocenti per reati che vanno dall’associazione a delinquere a tutta la gamma di reati che riguardano la pubblica amministrazione, estorsioni, usura e traffico di droga”.
L’epicentro dell’inchiesta ha riguardato i Comuni e i locali di ‘ndrangheta di Mileto e Zungri dove i pm della Dda di Catanzaro hanno fatto luce su varie estorsioni ai danni di alberghi di prestigio della “costa degli Dei”, ma anche sull’infiltrazione negli appalti per le mense dell’Asp di Vibo Valentia. “Un altro dato che ci ha impressionato – ha spiegato il procuratore – è l’imposizione del prezzo del pane. Nessun panificio poteva permettersi il lusso di abbassare il prezzo del pane sotto i 2 euro e 50 centesimi. Questo vi da il senso del controllo del territorio: qualsiasi attività economica, anche di beni essenziali come può essere il pane viene controllato dalla ‘ndrangheta”.
Gratteri ha ricordato, inoltre, che il suo ufficio non molla sull’omicidio di Maria Chindamo, l’imprenditrice di Laureana di Borrello sparita il 6 maggio 2016 mentre si trovava nella sua tenuta agricola di Limbadi, paesino ufficialmente in provincia di Vibo Valentia ma in realtà regno della cosca Mancuso.
Grazie alle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, il reato di concorso in omicidio viene contestato a un indagato (all’epoca dei fatti minorenne) che avrebbe commesso il delitto assieme ad altri due soggetti, uno dei quali è deceduto.
“Noi da allora non molliamo – ha ribadito il procuratore – Per noi è importante perché l’omicidio di questa donna che è successivo di un anno al suicidio del marito. È stata uccisa quando si è permessa di postare le foto con il suo nuovo compagno. Dopo due giorni dall’aver postato le foto con il nuovo compagno, Maria Chindamo è stata uccisa in un modo inumano, data in pasto ai maiali. I resti di quello che hanno lasciato i maiali sono stati macinati con un trattore cingolato proprio per far sparire ogni traccia del corpo di questa donna. Quindi oltre alla ferocia dell’omicidio anche la malvagità sul corpo e sui resti del corpo proprio per sottolineare quello che la donna, seppur vedova, non avrebbe dovuto fare o dovuto pensare. Come causale ci sono anche gli interessi economici di terreni molto importanti come estensione e come redditività. Una famiglia mafiosa era interessata alle sorti di questi terreni. Nel momento in cui muore il marito, i terreni vanno metà alla moglie vedova e metà ai figli. Voi capite come brucia l’idea che questi terreni possano essere gestiti da una donna che si permette di potersi rifare una vita”.