di Domenico Aiello, responsabile tutela giuridica della Natura WWF Italia
e Marco Antonelli, naturalista ed esperto di grandi carnivori WWF Italia

L’uccisione di Amarena ha suscitato sdegno e reazioni di incredulità in buona parte dei cittadini italiani. La perdita di una femmina riproduttiva, tra le più prolifiche della storia recente della residua popolazione di orso bruno marsicano (che conta oggi circa 60 individui), è un dramma per la conservazione di questa sottospecie unica al mondo. La morte dell’orsa ha riacceso il dibattito sulle strategie di conservazione ma anche quello sugli aspetti legali e sulle sanzioni previste per i responsabili di crimini come l’abbattimento di un esemplare che appartiene a una specie particolarmente protetta.

Ancora oggi in Italia, nonostante l’impegno quotidiano di enti gestori di aree protette e associazioni, la conservazione dell’orso bruno marsicano, e più in generale della fauna selvatica, non è considerata una priorità. Al contrario, si tende sempre più a parlare di animali selvatici con toni allarmistici, passando dai concetti di “invasione” a quelli di “pericolo”, facendo ricorso a generalizzazioni e teorie tutt’altro che scientifiche per analizzare cause e modalità di azione.

Lo stesso accade anche sotto il profilo legislativo, dove si susseguono norme tese a sradicare i fondamentali principi di tutela della fauna selvatica protetta strumentalizzando singoli episodi o criticità più strutturali, sempre originati dalla mancata corretta gestione della fauna selvatica, affidata passivamente a privati cittadini, senza particolari conoscenze scientifiche e con enormi conflitti di interesse come i cacciatori.

Da una parte un susseguirsi di provvedimenti mirati a ridurre i limiti alla possibilità di eliminare specie di animali selvatici per le ragioni più disparate e dall’altra la totale assenza di strumenti normativi efficaci a contrastare il bracconaggio in tutte le sue forme. In molti casi, infatti, i crimini contro la fauna selvatica sono frutto di traffici che generano ingentissimi profitti illeciti per nulla paragonabili alle irrisorie sanzioni.

Per l’orso bruno marsicano, il quadro normativo europeo e nazionale impone allo Stato e alle Regioni di mettere in atto le azioni di tutela, gestione e monitoraggio della popolazione la cui specie è classificata come “particolarmente protetta”.

Tuttavia, la legge italiana non dispone di strumenti idonei a consentire non solo una effettiva punizione del responsabile, ma anche a produrre un effetto deterrente. Il rischio molto concreto è che l’autore di un crimine come questo, all’esito di una sentenza di condanna definitiva, non subisca alcuna misura detentiva e debba pagare sanzioni pecuniarie assolutamente non commisurate alla portata del danno, né agli ingenti investimenti che enti pubblici e associazioni dedicano ogni anno alla conservazione della specie.

Il reato più significativo, nonostante diversi limiti, è quello previsto dall’art. 544 bis del Codice Penale (Uccisione di animali) che si applica a chiunque cagioni la morte di un qualsiasi animale “per crudeltà o senza necessità” e che prevede la reclusione da 4 mesi a 2 anni. Pur trattandosi di un delitto (unico caso nell’ambito dei reati contro gli animali) a causa dell’esiguità della sanzione detentiva, al ricorrere di questo reato è impossibile procedere all’arresto, anche se il soggetto è colto in flagranza e, all’esito dei tre gradi di giudizio il giudice può disporre la sospensione condizionale della pena ai sensi dell’art. 163 c.p., consentendo al reo di godere dell’estinzione del reato se lo stesso non commette un nuovo reato della stessa indole nei successivi 5 anni.

In tutti gli altri casi, i reati previsti sono di tipo contravvenzionale, ciò significa che possono essere soggetti all’applicazione di una serie di strumenti introdotte per ridurre il numero di casi che riescono ad approdare a processo e giungere a sentenza: come l’oblazione (art. 162 – bis c.p.) che comporta l’estinzione del reato previo pagamento di una somma pari alla metà del massimo dell’ammenda. Con il pagamento di poco più di mille euro (probabilmente meno di quanto è costato il fucile con cui è stato ucciso l’animale) il responsabile sarebbe libero e avrebbe anche la fedina penale pulita o l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 – bis c.p.).

Il Codice Penale prevede anche un reato specificamente riferito ai casi di uccisione o cattura di specie animali o vegetali selvatiche protette, l’art. 727 bis. Pur riferendosi a specie protette, questo reato, si traduce però in una mera contravvenzione, prevedendo l’arresto da 1 a 6 mesi o l’ammenda fino a 4000 euro e contenendo una serie di formule vaghe e generiche che ne riducono ancor di più la portata applicativa come la “quantità trascurabile” di fauna uccisa o “l’impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie” determinato.

Qualora il soggetto dovesse essere un cacciatore, si applicherebbero poi le contravvenzioni previste dall’art. 30 della legge speciale n. 157/1992 che, per chi abbatte specie particolarmente protette prevedono la pena dell’arresto da 2 a 8 mesi o l’ammenda da 774 a 2.065 euro (art. 30, comma 1, lett. b) nonché il sequestro dell’arma e la sospensione della licenza di caccia da 1 a 3 anni. Tali sanzioni sono leggermente aumentate nel caso di uccisione di alcune specie, tra cui l’orso, prevedendo un’ammenda da 1.032 a 6.197 euro e l’arresto da 3 mesi ad 1 anno, nonché la sanzione accessoria della revoca della licenza di caccia e del divieto del rilascio per un periodo di 10 anni.

Nel caso in cui invece il responsabile non sia un cacciatore, la giurisprudenza ha negli anni riconosciuto la possibilità di ricorrere all’applicazione del “furto venatorio” ovvero di perseguire il soggetto per furto aggravato ai danni dello Stato, sul presupposto che la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato. Questo importante strumento è stato, però, di fatto disattivato dalla “Riforma Cartabia”, che ne ha disposto la perseguibilità solo a querela di parte. Se prima quindi la Procura poteva procedere automaticamente per furto nei confronti del bracconiere, oggi lo Stato deve sporgere querela alla Procura per dare il via all’azione penale. Questo cortocircuito normativo ha comportato gravi ripercussioni sia nei processi già avviati, sia rispetto ai nuovi fatti di bracconaggio, anche gravi.

Nel caso dell’orsa Amarena è possibile, tuttavia, ricorrere ad un altro strumento normativo, poco conosciuto ma molto efficace: il delitto di inquinamento ambientale (art. 452 bis c.p.) che prevede, nei confronti di chi abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili della biodiversità, la reclusione da due a sei anni e una multa da euro 10.000 a euro 100.000. In tal caso i presupposti per l’applicazione della norma ricorrono alla luce della particolare esiguità del numero di orsi bruni marsicani e della gravità del danno arrecato alla loro conservazione.

Oltre agli aspetti giuridici, per il WWF è necessario riflettere seriamente sulle responsabilità e sull’efficacia delle strategie fino ad oggi messe in campo per affrontare una situazione che, seppure in presenza di alcuni segnali positivi a livello di espansione della popolazione ancora oggi vede orsi morire uccisi da colpi d’arma da fuoco o avvelenati, orsi investiti su strade e autostrade, orsi confidenti frequentare centri abitati in Comuni che poco o nulla fanno per prevenire l’insorgenza del fenomeno. La mortalità di origine antropica (illegale e accidentale) è la principale minaccia per la conservazione del plantigrado, e non stiamo facendo abbastanza per eliminare questi rischi.

Per incrementare le probabilità di sopravvivenza del plantigrado occorre un approccio complessivo e coordinato. Per garantire l’incremento numerico e l’espansione della specie in un’area più vasta di quella occupata attualmente occorre concentrare gli sforzi per ridurre l’impatto delle minacce, sia nella rete di aree protette potenzialmente idonee alla presenza dell’orso, sia in quei territori con vocazione di corridoi ecologici che connettono le diverse aree protette. La conservazione di questo grande carnivoro, da tempo particolarmente adattato alla convivenza con l’uomo, è legata in primis alla sua possibilità di espandersi in territori al di fuori dell’attuale area centrale di presenza.

L’uccisione di Amarena, uno dei simboli di questa popolazione a rischio critico di estinzione, da episodio drammatico deve diventare occasione per aumentare gli sforzi che permetteranno alle future generazioni di non perdere l’orso bruno dei nostri Appennini. I risultati si raggiungeranno solamente se tutti gli organi preposti si muoveranno nella stessa direzione. Solo così potremmo vincere la battaglia per la salvezza di una specie iconica e simbolo della biodiversità italiana.

Domenica 10 settembre alle 10 è prevista la manifestazione unitaria delle associazioni ambientaliste “Un futuro per l’orso” a Pescina (AQ), in memoria di Amarena e in difesa della fauna italiana

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