Joe Biden annuncia l’annullamento da parte del dipartimento degli Interni delle restanti sette licenze di trivellazione per gas e petrolio nell’Arctic National Wildlife Refuge in Alaska, casa di orsi polari, caribù e altri animali selvatici. Si tratta del più grande rifugio nazionale per la fauna selvatica del Paese. Un’area selvaggia di circa 8 milioni di ettari nell’angolo nord-orientale dell’Alaska, rimasta inviolata per oltre 30 anni. Qui, ad agosto 2020, l’amministrazione Trump diede il via alle trivellazioni per poi affrettarsi, poco prima che il tycoon lasciasse la Casa Bianca, a pubblicare le richieste di candidature per le compagnie energetiche interessate a comprare i diritti a trivellare in un’area di circa 600mila ettari. Con questa decisione, la Casa Bianca protegge oltre 52mila chilometri quadrati nell’Artico occidentale e lo fa in un momento delicato, a causa dell’impennata dei prezzi del petrolio greggio che minaccia di far salire il costo della benzina. Lo stesso presidente Usa ha rivendicato il suo impegno contro il cambiamento climatico che riscalda l’Artico “più del doppio della velocità rispetto al resto del mondo”. “Fin dal primo giorno ho realizzato l’agenda sul clima e sulla conservazione più ambiziosa nella storia del nostro Paese. Ma c’è ancora molto da fare e la mia amministrazione continuerà a intraprendere azioni coraggiose” ha detto. “Nessuno avrà il diritto di trivellare il petrolio in uno dei paesaggi più sensibili della Terra” ha commentato il ministro degli Interni Deb Haaland, nel corso di una conferenza stampa. Ma la parola fine a questa vicenda non è stata ancora scritta.
Una terra minacciata da decenni – Ed è una vicenda lunga e complicata. Già nel 1995 Bill Clinton aveva posto il veto a un piano dei repubblicani che autorizzava le trivellazioni. In seguito, il presidente George W. Bush era riuscito a far eseguire delle perforazioni, ma i democratici bloccarono il piano nel 2005. Nel 2015, fu l’ex presidente Barack Obama a interrompere qualsiasi studio geologico per la ricerca di idrocarburi in quei territori, estendendo l’Arctic National Wildlife Refuge da 5 ad oltre 8 milioni di ettari. Un paio di anni dopo, però, Donald Trump fu eletto presidente. Nel 2017, proprio su richiesta del tycoon, il Congresso degli Stati Uniti diede l’autorizzazione alle attività petrolifere nell’area e l’anno dopo l’Ufficio per la gestione del territorio dell’Interno concluse che la perforazione poteva essere condotta all’interno della pianura costiera senza danneggiare la fauna selvatica. Poi la vendita dei diritti, negli ultimi giorni alla Casa Bianca. Ma solo 11 tratti di territori andarono all’asta, fruttando meno di 14 milioni di dollari. Ad aggiudicarsi la maggior parte dei contratti di locazione (sette) fu proprio l’Alaska Industrial Development and Export Authority, mentre le grandi compagnie, come ExxonMobil e Chevron, non mostrarono interesse, dopo che importanti banche avevano annunciato che non avrebbero finanziato progetti di petrolio e gas nell’Artico.
La vendita “viziata” – Ma nonostante la legge fiscale del Partito Repubblicano del 2017 avesse aperto parte del rifugio alla trivellazione, tra l’altro con il sostegno della senatrice repubblicana dell’Alaska Lisa Murkowski, non si è mai perforato. Dopo essere entrato in carica, Joe Biden ha emesso un ordine esecutivo chiedendo una moratoria temporanea sostenendo che ci fossero “molteplici carenze legali” alla base del programma di leasing dell’era Trump e, a giugno 2021, il ministro Haaland ha sospeso i contratti di locazione. Contro la moratoria si è schierata l’Alaska Industrial Development and Export Authority, ma un giudice federale ha recentemente ritenuto che i dubbi che hanno spinto il Dipartimento degli Interni a condurre una nuova revisione fossero fondati. E per il Dipartimento non c’è dubbio: la vendita avvenuta durante gli ultimi giorni dell’era Trump è stata eseguita con un procedimento viziato. La vicenda, però, non può dirsi chiusa. Perché Biden non ha revocato la sua recente approvazione di un progetto di trivellazione da 8 miliardi di dollari nella stessa regione e perché la legge del 2017 impone all’amministrazione Biden di avviare un nuovo processo di leasing e portare a termine un’altra vendita entro la fine del 2024, anche se probabilmente con disposizioni ambientali più rigorose.
Le trivellazioni hanno diviso i nativi – Ma la partita che da decenni si gioca tra Democratici e Repubblicani è riuscita già a dividere le comunità native. I repubblicani hanno cercato più volte di far partire le trivellazioni nella zona costiera che, secondo alcuni studi, sarebbe ricca di idrocarburi. E hanno puntato sullo sviluppo economico e occupazionale dell’area. Ma se per gli Inupiat, comunità che vive vicino alla costa, l’industria del petrolio rappresenta la possibilità di nuovi posti di lavoro, per i Gwich’in che vivono a sud, lo sviluppo rappresenta un rischio e che combattono per la tutela di quei territori considerati sacri. “La nostra terra sacra è solo temporaneamente al sicuro dallo sviluppo del petrolio e del gas” ha ricordato Bernadette Demientieff, direttrice esecutiva del Comitato direttivo di Gwich’in, chiedendo all’amministrazione e ai leader al Congresso di abrogare il programma su petrolio e gas”.