Per la delicatezza con cui compone le immagini e la naturalezza con cui illustra i sentimenti a Stephane Brizé, in Concorso a Venezia 80 con Hors Saison (Fuori stagione), daremmo un Leone d’Oro a vita. Mettiamo per un attimo in stand by la trilogia sugli effetti del neoliberismo sul mondo del lavoro (La legge del mercato, En guerre, Un autre monde), perché qualche anno fa Brizé ci aveva tolto il fiato con Une vie, film tratto da Maupassant su una giovane donna della Normandia alle prese con un marito egoista e traditore. Tocchi lievi ma precisissimi, atmosfere rarefatte, attori felicemente sommessi nel recitare, una luce grigio bianca e tagliare lo spazio, sia nell’inizio ottocento di Un vie che nella contemporaneità di un largo, apparentemente svuotato paese bretone affacciato sull’impetuosaa maestosità dell’Atlantico di Hors saison. Michel (Guillame Canet), un attore di cinema depresso e malinconico che ha appena cancellato la prima tournée teatrale della sua carriera, giunge in uno sciccoso albergo termale per un serio stacco dal lavoro. Tra un selfie e l’altro, pacifiche sedute di fanghi, qualche pianto in solitaria e le telefonate distratte della fidanzata giornalista, alla reception dell’hotel arriva un messaggio.
Alice (Alba Rohrwacher) è venuta a sapere che il ragazzo con cui aveva avuto una storia 16 anni prima, oggi diventato una grande star, è lì, in quel paese sull’oceano, dove lei è finita ad abitare con marito e figlia. I due decideranno di incontrarsi. Una, due, tre volte. Sulla palette di tenui colori grigio blu marittimi e tetti d’ardesia, le presenze di Michel e Alice si muovono sottili e frementi, aggrappate ad un’intesa lontana ma ancora viva che travalica apparenze e insicurezze di lui (il teatro rifiutato perché non si sente all’altezza), fallimenti e indecisioni di lei (il lavoro di compositrice al piano sostituito dall’assistenza sociale). La linea del presente fugace, di due fughe con riparo dal mondo, è tutta ironia negli sms, sguardi teneri e sinceri, corpi che finalmente si ritrovano. Brizè e la sceneggiatrice Marie Drucker allestiscono un perfetto equilibrio di presenze e infinitesimali differenze in scena, dove la parola e i dialoghi non sono mai ridondanti. La regia inoltre si appoggia al dolente isolamento ambientale, optando per un andamento narrativo che segue la metafora ciclica delle burrasche e delle basse maree, screziandolo di una parentesi sempre in loco, quella di un’amica anziana di Alice che ha trovato una nuova compagna a quasi ottant’anni, con una grazia significante per l’intera opera. Hors saison è cinema da gustare con l’anima e da contemplare con gli occhi. Un film intimista, sulla verità e la spontaneità dell’amare come se ne facevano una volta e che oggi non se ne fanno più.