Cronaca

Manfredonia, la denuncia-appello del vescovo: “Qui il lavoro serve come il pane oppure il territorio muore in mano alle mafie”

I ghetti in cui spesso i migranti trovano la morte, la piaga del caporalato, la disoccupazione giovanile che tocca il 48 per cento, il lavoro povero, gli incendi dolosi per marcare il territorio, il commercio della droga, il facile uso delle armi, il dominio della mafia e l’indifferenza della società e della politica. È la fortissima denuncia fatta dall’arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, monsignor Franco Moscone, nel messaggio alla città di Manfredonia in occasione della festa patronale della Madonna di Siponto. Un appello coraggioso rivolto a tutti, istituzioni e cittadini, dopo quasi cinque anni alla guida della Chiesa del Gargano. “Adesso – spiega il presule a ilfattoquotidiano.it – si è aggiunta anche la crisi politica del Comune di Manfredonia. Era prevedibile, c’erano segnali, ma così improvvisamente non me l’aspettavo. Anche questo va ad aggiungere disagio. Io spero che il buonsenso faccia ripensare qualcheduno, ma staremo a vedere e cercheremo di fare la nostra parte, sollecitando perlomeno le coscienze e dicendo che la politica è un atto di carità, non è servizio privato o interesse di parte”.

Monsignor Moscone, che ha preso possesso canonico dell’arcidiocesi il 26 gennaio 2019, con la sua denuncia ha voluto scuotere le coscienze di tutti, società e politica, con la speranza che si possa finalmente invertire la rotta e riportare il Gargano sulla strada della legalità. Una battaglia coraggiosa che il presule ha intrapreso fin dal suo arrivo a Manfredonia, inviato da Papa Francesco dopo essere stato per dieci anni, dal 2008 al 2018, al vertice della sua congregazione religiosa, l’ordine dei Chierici regolari di Somasca. “Questo – sottolinea Moscone a ilfattoquotidiano.it – è un territorio che fondamentalmente ha bisogno di lavoro come del pane e dell’acqua, altrimenti veramente muore nelle mani della malavita organizzata, delle varie mafie o della quarta mafia, come si chiama qui, del foggiano, del Gargano. La mancanza di sicurezza sui luoghi di lavoro c’è ovviamente nel settore agricolo, ma non solo. È un territorio dove esistono, a mio giudizio, due geografie cittadine: ci sono le città ufficiali e poi ci sono i ghetti degli extracomunitari più o meno legali che vivono e che poi sono la forza lavoro del nostro territorio per l’agricoltura, ma anche in parte per altri servizi compresi quelli turistici”.

“Questa – aggiunge il presule – è la situazione ed è chiaro che questa situazione piace a una certa tipologia di potere che è, a mio giudizio, l’antipotere mafioso. Questa è la mia lettura da quando sono arrivato. Poi c’è la droga, poi c’è la presenza delle armi in un modo veramente capillare con un utilizzo senza problemi. Io ho parlato di far west senza set cinematografico, ma è vero. Da quando sono arrivato, quasi cinque anni fa, ho notato quello: da omicidi a tentati omicidi con intimidazioni con uso di armi, con qualche bombetta che ogni tanto viene fatta scoppiare qua e là, qualche incendio appiccato a macchine o a luoghi di commercio, per non parlare di quelli sul territorio e boschivi che sono veramente un grave disagio. Tutti gli anni l’estate è un bruciare un po’ del cuore del nostro Gargano per segnare il potere. Come i cagnolini segnalano il loro territorio, i mafiosi su questo territorio lo segnalano anche con questi strumenti”.

Ci sono, poi, i due episodi di cronaca denunciati dall’arcivescovo nel suo messaggio alla città di Manfredonia, “due icone – come le ha definite Moscone – di tragedie nella carne di nostri fratelli e sorelle immigrati, di bambini innocenti”. “Il primo avvenimento – ha affermato l’arcivescovo – risale al 23 gennaio, nel rigore dell’inverno, nel ghetto di Borgo Mezzanone. È un dramma legato all’immigrazione: due nostri fratelli, Ibrahim e Queen, giovani immigrati provenienti rispettivamente dal Gambia e dal Ghana, sono morti nel sonno per le esalazioni di monossido di carbonio provenienti da un braciere di fuoco, acceso per combattere il freddo della notte nella baracca ove vivevano. Questo grave fatto è ancora una volta espressione di quel dramma estremo che perdura da anni nelle campagne del nostro Tavoliere e in particolare nel cosiddetto ‘ghetto’ di Borgo Mezzanone, ove in condizioni insopportabili vivono circa 1500 migranti, occupati nell’agricoltura e in piccoli altri lavori. Le loro condizioni di vita, al limite dell’umano, sono una autentica vergogna che deve riguardare tutti, non solo la parrocchia locale e le Caritas, che offrono un soccorso nell’immediato cercando di offrire migliorie e un po’ di dignità a quanti hanno trovato ‘casa’ sulla pista. Ma in queste ‘case’ di fortuna, inaccoglienti ai rigori dell’inverno ed all’arsura dell’estate, con scadenze ravvicinate vediamo morire di stenti, miseria e mancanza di sicurezza troppe persone”.

“Il secondo avvenimento – ha proseguito il presule – risale all’11 luglio, nel torrido dell’estate del Tavoliere, e questa volta le vittime sacrificali sono due fratellini Stefan e Daniel di 6 e 7 anni, di nazionalità romena, annegati in una vasca per l’irrigazione dei campi nell’agro di Fonterosa. È un dramma tremendo legato alle condizioni che segnano l’immigrazione (non solo quella che chiamiamo ‘clandestina’, ma anche quella che sembra ammantarsi di legalità). Di fronte a una tragedia di questo tipo, come ho detto durante l’omelia dei funerali, dobbiamo domandarci e scuoterci il petto per quanto di una mentalità da Erodi in tempo di globalizzazione infetta la nostra economia e legislazione. Diventa sempre più necessaria la presa di coscienza responsabile dell’opinione pubblica e l’impegno concreto delle istituzioni civili per trovare vie di soluzione agli enormi problemi delle zone periferiche della grande pianura del Tavoliere, ove ormai con scadenze ravvicinate vediamo morire di stenti, miseria, mancata custodia di minori e mancanza di sicurezza troppe persone, addirittura dei bambini”.

“Io – aggiunge Moscone a ilfattoquotidiano.it – ho fatto il funerale di quei due bambini con la Cattedrale vuota. È vero che era un giorno caldissimo, era il pomeriggio forse più caldo dell’estate, ma era un calore doppio: sia quello meteorologico, che quello di una situazione sociale che superava il tetto”. Una denuncia che, però, è anche carica di speranza: “Non ci può essere nulla, che accade nella nostra città e territorio, che non ci possa interessare, che non faccia appello alla responsabilità di coscienza di ciascuno, che non ci spinga ad intervenire e lavorare per rimuovere il negativo e trovare soluzioni concrete capaci di generare un futuro positivo e portatore di speranza e vita dignitosa”. Parole che non possono cadere nel vuoto.

Twitter: @FrancescoGrana