Mafie

Su Maria Chindamo il quadro è completo: tanti sapevano ma nessuno ha parlato per troppo tempo

Maria Chindamo è stata uccisa, il suo corpo è stato dato in pasto ai maiali e i resti ossei sono stati triturati con un trattore cingolato. L’imprenditrice 44enne di Laureana di Borrello era particolarmente odiata: a lei i familiari del marito imputavano il suicidio dello stesso, che non accettava la fine della loro relazione; i clan non sopportavano, d’altra parte, che da sola gestisse i terreni in un territorio completamente controllato dalle cosche. Maria, quindi, andava cancellata per sempre. Ad emettere la sua condanna a morte il tribunale clandestino della ‘ndrangheta.

È questo lo scenario terribile, raccapricciante, che emerge dall’operazione Maestrale-Carthago, condotta dalla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, con la guida di Nicola Gratteri, e che ha portato all’arresto di 84 persone fra mafiosi, affiliati, insospettabili. Ben 600 carabinieri sono stati impegnati nell’operazione. Prezioso – per quanto riguarda il caso Chindamo – il contributo del Reparto Crimini Violenti del Ros, che sin dall’inizio della scomparsa di Maria segue con attenzione questo caso. Il corpo di Maria non è mai stato ritrovato ma sin dall’inizio non c’erano dubbi che la donna fosse stata uccisa, ne avevo parlato in un post sul mio blog già nel 2019.

L’operazione di ieri, però, ha stabilito delle prime responsabilità e ha ricostruito con maggiori dettagli quello che è successo. Alla sbarra, per concorso in omicidio, ci è finito Salvatore Ascone, ‘u pinnolaru. L’uomo, faccendiere del clan Mancuso, era la figura preposta al controllo del territorio dove Maria gestiva le sue terre, che ricade fra le province di Vibo e di Reggio Calabria, quindi della vicina Rosarno, con interessi anche da parte delle cosche Bellocco-Cacciola, come appurato dagli inquirenti. Ebbene, ‘u pinnularu, il giorno in cui Maria è scomparsa, avrebbe manomesso le telecamere di videosorveglianza piazzate proprio di fronte alla tenuta della donna, lo stesso luogo dove è stata sequestrata e uccisa. Avrebbero potuto riprendere ogni cosa, quelle telecamere, se funzionanti.

Ciò aveva portato qualche tempo fa all’arresto di Ascone, per complicità nel delitto della Chindamo. Ma il Tribunale del Riesame lo aveva immediatamente scarcerato. Ora quel lavoro tecnico certosino fatto dai carabinieri del Ros è di nuovo nelle carte dell’inchiesta della Dda, e a questo si aggiunge il racconto di almeno tre pentiti che hanno rivelato quello che sanno sull’omicidio Chindamo. L’ultima testimonianza è arrivata ai magistrati nel gennaio 2023. Il pentito avrebbe sentito dalla bocca dello stesso Ascone quello che è successo a Maria: “Me la sono dovuta caricare addosso per quattro soldi”. Ma ancor prima l’ex rampollo della famiglia Mancuso, Emanuele, aveva riferito quello che aveva appreso dal figlio di Ascone, Rocco, in merito alla fine che era stata fatta fare alla donna, data in pasto ai maiali e triturata. E ancora prima, nel 2020, un altro pentito aveva fatto simili ammissioni. Mancuso, in particolare, aveva raccontato il fatto ad un altro ex mafioso in carcere.

Dunque, il quadro è completo: tanti sapevano ma nessuno ha parlato per troppo tempo. Maria aveva due colpe: la prima, quella di essersi innamorata di un altro uomo dopo il suicidio del marito di cui le veniva data la colpa; la seconda, quella di non aver ceduto alle pressioni delle famiglie mafiose che volevano quel terreno per pochi spiccioli. L’inchiesta ora potrà avere ulteriori risvolti perché ci sono altri due soggetti coinvolti: un minore, che già era finito nei guai per la manomissione delle telecamere ora a piede libero, e una persona deceduta. Ma il quadro potrebbe riempirsi con i volti dei mandanti e degli esecutori materiali, forse tre persone.

Il colonnello Paolo Vincenzoni, comandante del reparto crimini violenti del Ros, ha detto che nell’omicidio concorrono “plurime volontà omicidiarie: la prima quella di punire la donna per essere una donna emancipata, coraggiosa, che voleva vivere la propria libertà di donna, mamma e imprenditrice. E come tale si era opposta a logiche criminali di tipo mafioso”. Due o tre giorni prima di sparire Maria aveva fatto la sua prima uscita pubblica con il suo nuovo amore. E in quei giorni ricadeva il primo anniversario del suicidio del marito. Un fatto d’onore imperdonabile unito agli interessi delle cosche, che una come Maria non la sopportavano. La famiglia di Maria, in tutta risposta, non ha mai smesso di credere nella giustizia e vive insegnando la legalità in quel territorio. Perché non accada mai più.