L’apparenza inganna, lo sappiamo. La vita sembra scorrere come sempre e, almeno in città, c’è l’abitudine di vivere grazie ad un antico mestiere imparato fin da bambini. Si tratta dell’arte sottile della quotidiana sopravvivenza nella quale dal niente si tira fuori tutto quanto basta per arrivare al giorno dopo.
Dal 26 luglio fino ad oggi, la prima decade di settembre, è in vigore una non annunciata e ben definita transizione di regime. Le sanzioni economiche e sociali approvate e applicate in fretta da un parte dei Paesi confinanti il Niger, specie quelli avendo lo sbocco sul mare, aggiungono sofferenze al già temibile quotidiano della povera gente. “Siamo nella sofferenza”, diceva un artigiano il cui lavoro si è di colpo interrotto da un mese a causa della situazione creatasi a seguito del golpe militare citato. “Mancano i soldi per i condimenti”, aggiunge e allora si sparisce fino a sera per non vedere i figli e i nipoti soffrire la fame.
“Fino a quando” chiede lo stesso artigiano che, prima di congedarsi, chiede che anche nelle chiese si preghi perché le cose “si rimettano a posto” quanto prima. C’è infatti qualcosa di straordinario che sta accadendo nel Paese e che, a guardarlo da vicino, desta ammirazione e stupore. Si tratta della quotidiana resistenza dei ‘piccoli’ che, soprattutto in silenzio, realizzano un’autentica rivoluzione sociale. Stanno pagando un prezzo molto alto al cambiamento impresso alla storia del Niger tramite il golpe, in parte inatteso, di fine luglio. Soffrire in silenzio in genere non fa notizia eppure è questo uno dei pilastri su cui si regge l’attuale transizione politica. Un silenzio che dovrebbe interpellare chi ha assunto per scelta o per necessità di instaurare un regime di eccezione nel Paese e attorno ad esso. Non è accettabile che, senza alcuna remora, si penalizzi un popolo, anzi ‘il popolo’ e cioè i piccoli e fragili di sempre, i poveri e i giovani in particolare.
Nessuno dovrebbe osare confiscare il loro futuro perché, intessuto com’è di sogni, speranze e ideali è qualcosa di sacro. Non rubare il verbo vivere coniugato al futuro con dignità è ciò che dovrebbe costituire la ragione d’essere di ogni autentica politica. Da questo frutto si riconosce l’albero che ha scelto di piantare la transizione nel Paese. Non accada mai più che la sofferenza dei poveri sia resa vana e le nascoste utopie germogliate in questi anni assenti siano svendute al miglior truffatore di sogni. Ecco perché il silenzio nascosto si trasforma in un grido rivolto a chi ha il coraggio e l’incoscienza di accoglierlo. Nella complicità di coloro che non hanno voce si tratta di dare una risposta accorata alla sofferenza, a livello locale e internazionale. Sarà questo il nome da dare alla transizione che dovrà sfociare nella Conferenza Nazionale aperta a tutti per dare un volto nuovo alla politica. Assumere la sofferenza dei poveri perché trasformi il linguaggio politico del Paese sarà la base della nuova Costituzione della Repubblica, fondata sul silenzio.
Niamey, settembre 2023