Sabato 9 settembre ero con altri dirigenti dell’Anpi su di una ridente isola della costiera croata, grande poco più di un terzo dell’isola d’Elba e riscaldata da un sole ancora estivo. Quell’isola si chiama Rab, in italiano Arbe.
In una località di Rab – Kampor – entrò in funzione nel 1942 un campo di concentramento creato dalla II Armata italiana, ai tempi dell’occupazione della ex Jugoslavia che si avviò il 6 aprile 1941 attraverso l’intervento combinato dell’esercito italiano, di quello tedesco e di quello ungherese. Il campo di concentramento ospitò un numero imprecisato di persone, prevalentemente slovene, da 10 a 15mila internati di cui circa 2.000 donne e circa 1.000 bambini. Le condizioni di internamento – percosse, punizioni, malattie, fame – furono tali da determinare la morte di circa 1.500 deportati, forse molti di più.
A proposito di Kampor, il generale Gastone Gambara affermò: “Logico e opportuno che campo di concentramento non significhi campo di ingrassamento. Individuo malato uguale individuo che sta tranquillo”. In una apposita circolare il generale Mario Robotti scrisse: “Il territorio in cui ci si muove è un campo di battaglia”; “tutti devono essere considerati nostri nemici”; “non si devono fare prigionieri”. Di conseguenza “si ammazza troppo poco”. Nella più famosa circolare del generale d’armata Mario Roatta, la circolare 3C emanata il 1° marzo 1942, si leggeva: “Il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato nella formula ‘dente per dente’, bensì da quella ‘testa per dente’”. Questa fu la logica della gestione del campo di internamento che può essere ragionevolmente definito un lager.
I criminali di guerra italiani non sono mai stati puniti. I rappresentanti dello Stato italiano non si sono mai recati in veste istituzionale sull’isola, né mai è stata pronunciata una parola di scusa in merito.
Il 9 settembre di quest’anno, sulla terra dov’era stato montato il campo e che aveva inghiottito tante vittime innocenti, si è celebrato l’80° anniversario della liberazione del campo, ancora una volta in assenza di autorità istituzionali italiane. Erano presenti alcune migliaia di persone – credo circa 3.000 -, molte delle quali provenienti dalla Slovenia. E c’era anche un nutrito gruppo di italiani, alcuni organizzati dallo storico Eric Gobetti, altri – due pullman – organizzati dall’Anpi del Friuli Venezia Giulia, di Piacenza e di Reggio Emilia.
Hanno parlato il Presidente della Repubblica croata e la Presidente della Repubblica slovena, il sindaco di Arbe, i tre Presidenti delle Associazioni partigiane slovena, croata e italiana, in un clima di commozione, emozione e comunione della gente di tante nazionalità. Ho concluso il mio intervento con queste parole: “Senza mai dimenticare cosa avvenne in quest’isola, nel nome di tutte le vittime, nella denuncia e nella esecrazione dei responsabili, andiamo avanti tenendoci per mano”.
Eppure in Italia, nel mio Paese, c’è silenzio, un silenzio rumoroso, ipocrita, sacrilego, a protezione e copertura di una mitologia non più presentabile, di una retorica falsa e bugiarda che dal dopoguerra ha minimizzato o nascosto crimini che non sono mai stati puniti: “italiani brava gente”. Le indicazioni furono date da Benito Mussolini. Gli esecutori furono molti generali italiani. Dai gas asfissianti in Etiopia, dalla strage di Debra Libanos, presso Addis Abeba, dalla deportazione di un intero popolo in Libia fino alle violenze, ai massacri, alle fucilazioni per rappresaglia, agli incendi nella ex Jugoslavia, oggi, grazie alla ricerca storica, appare in tutto il suo orrore la cruda verità dell’espansionismo fascista, mai contrastato da Vittorio Emanuele.
C’è un non detto: difendere l’onore del Paese. Ecco, nascondendo, omettendo, falsificando, si perde l’onore, si umilia la dignità nazionale, si manifesta clamorosamente una debolezza storica.
Ricordare perciò gli eccidi delle foibe e la tragedia dell’esodo è giusto e doveroso. Rimuovere gli scenari di sangue e di morte causati dal fascismo in cui si sono collocati e da cui sono stati in parte causati quei drammi è francamente una vergogna nazionale che serve – e quanto è servita! – soltanto alla destra estrema, che dall’ultimo decennio del 900 ha operato al fine di una progressiva riabilitazione del fascismo e di una continua denigrazione della Resistenza. Oggi, sotto l’ombra di un governo che combina l’ispirazione “sovranista” con la più acritica e bellicistica dipendenza dagli Stati Uniti, si espande la voragine nera della memoria nazionale.
Nel lontano 1920 Mussolini affermò a Pola: “Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone”. Il nazionalismo, l’espansionismo, la violenza armata come strumento principale della politica, il razzismo, erano e sono l’essenza, il cuore del fascismo storico e di qualsiasi fascismo.
Ad Arbe ho ascoltato l’inno nazionale sloveno e l’inno nazionale croato. Non l’inno nazionale italiano. Ad Arbe ho visto sventolare la bandiera croata e la bandiera slovena. Non il Tricolore. Il 7 dicembre 1970 il Cancelliere tedesco Willy Brandt si inginocchiava davanti al monumento alle vittime al Ghetto di Varsavia. In Italia c’è silenzio. Come se non fosse mai successo niente. O, se successo, come se fosse giusto, normale, dovuto. Fascisti di ieri e silenzi di oggi.
È tempo di voltare pagina. È tempo di chiedere perdono.