Licenziato dal sindacato per “giustificato motivo oggettivo”. Dopo 40 anni meno qualcuno, perché una separazione era in realtà già maturata, passati dentro i ranghi della Cgil, prima quella piemontese e poi a Roma. La storia l’ha raccontata lui stesso, Massimo Gibelli, 64 anni, storico portavoce di diversi segretari e segretarie della Confederazione generale italiana del lavoro. Un post su Facebook riportato anche in un articolo sull’Huffington Post nel quale spiega cosa è accaduto lo scorso 4 luglio a due anni dal momento in cui il suo ruolo era stato soppresso dall’attuale leader del sindacato, Maurizio Landini: “Al rientro da un breve periodo di ferie, sono convocato dal segretario organizzativo. Durante il colloquio mi viene comunicato il ‘licenziamento per giustificato motivo oggettivo’ e consegnata la lettera raccomandata a mano in cui si specifica che ‘la data odierna, 4 luglio 2023, è da considerare l’ultimo suo giorno di lavoro’. Seguono ringraziamenti e saluti di rito”.

Licenziato come “previsto dall’articolo 3 della legge n. 604 del 1966, più volte modificato nel corso degli anni, in ultimo dalla riforma Fornero del 2012 e nel 2015 dal Jobs Act di Renzi”, scrive ancora Gibelli sottolineando che si tratta di “leggi che furono fortemente contestate dal sindacato”. Il licenziamento, ha spiegato, “è stato impugnato e sono ora in corso le conseguenti procedure”. E specifica che negli ultimi anni, come aveva spiegato dopo la soppressione della figura di portavoce del segretario generale, “mi resi immediatamente disponibile ad essere utilizzato in altro incarico, in qualunque posizione e struttura l’organizzazione ritenesse proficuo utilizzare le mie competenze”. Cosa sia accaduto in questi due anni sarà oggetto dell’impugnazione.

Resta il paradosso di un sindacato che licenzia. Gibelli ha ricoperto il suo primo incarico nella Cgil nel 1983, all’interno della confederazione piemontese. Negli anni successivi è approdato a Roma sotto l’ala di Ottaviano Del Turco, segretario aggiunto della componente socialista durante il mandato di Bruno Trentin. Quindi gli otto anni accanto a Sergio Cofferati, “su quel palco a 25 metri di altezza che dominava i tre milioni giunti a Roma per difendere l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori”, ricorda Gibelli nel suo intervento. Un veloce passaggio sulla segretaria di Guglielmo Epifani, supportato “nei primi mesi del suo mandato” prima di “un mio passo indietro dopo gli anni molto caratterizzanti del mio lavoro con il suo predecessore”.

Il rapporto tra la Cgil e Gibelli infatti si interruppe anche allora: seguì Cofferati nella sua avventura come sindaco di Bologna, divenendone il portavoce. Per lui vennero stanziati 594mila euro di compenso per il quinquennio accanto al “Cinese”, come ricorda un articolo di Repubblica. Al termine del mandato, qualche incomprensione. “E alla fine Gibelli scarica Cofferati: ‘Un mandato autoreferenziale'”, è il titolo di un’intervista concessa dallo stesso Gibelli al Corriere della Sera il 12 giugno 2009. “Diciamo che Cofferati ha imparato a farsi del male da solo!”, disse Gibelli spiegando che il rapporto aveva subito un raffreddamento. “Ci sentiamo poco”. Tre anni più tardi, con Susanna Camusso, il suo rientro in Cgil: portavoce della prima segretaria generale. Era il 2012, epoca precedente al Jobs Act.

Nel 2019 l’arrivo di Landini, quindi nel 2021 la riorganizzazione interna della Cgil e la scelta del leader di abolire la figura del portavoce. “Passati due anni, finito il Congresso, eletta la nuova segreteria, nel marzo scorso, scrivo una mail al segretario organizzativo – nel sindacato è il dirigente competente al funzionamento dell’organizzazione, alle politiche del tesseramento e, molto approssimativamente, al personale – per ricordare che, da un biennio sono privo di incarico e compiti, e ribadire la mia disponibilità a essere utilizzato ovunque si renda possibile, utile e necessario”, sostiene Gibelli. Quindi la comunicazione del 4 luglio, il clamore delle sue affermazioni e il licenziamento impugnato. La Cgil, contattata da Ilfattoquotidiano.it, ha scelto di non commentare. Cosa è accaduto, e come è maturato il licenziamento, lo decideranno le carte bollate.

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