“Il nostro servizio sanitario nazionale, che era uno dei migliori del mondo ed era stato copiato da quello inglese di 75 anni fa, sta pian pianino per essere dismesso. Non ce ne stiamo accorgendo ma i segnali qua e là ci sono: il Pronto Soccorso privato, il numero maggiore di letti nella sanità privata che in quella pubblica, come avviene in Lombardia. E alla fine noi stiamo rischiando di perdere la cosa più preziosa che abbiamo e che è fondamentale per la democrazia e per il benessere di una nazione“. È l’allarme lanciato ai microfoni di 24 Mattino, su Radio24, da Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, nonché l’unico italiano ad essere membro del Comitato di redazione delle riviste The Lancet e New England Journal of Medicine.
Remuzzi aggiunge: “Le liste d’attesa infinite sono una conseguenza di una mancata governance di tutti gli attori del servizio sanitario nazionale. Qui c’è un fortissimo problema culturale. I politici, la gente e gli operatori del settore devono capire che bisogna uscire dall’idea secondo cui il servizio sanitario nazionale sia una cosa come tante altre. Al contrario, deve essere la priorità assoluta della politica e la cosa più importante che esiste“.
Il nefrologo cita il modello inglese e l’articolo 32 della nostra Costituzione, stigmatizzando la deriva americana delle privatizzazioni: “Nel 1948, quando il servizio sanitario pubblico è nato in Inghilterra, si è detto: tu sostieni il servizio sanitario pubblico con le tue tasse ma questo ti toglierà la preoccupazione economica in tempo di malattia. Pensate a quanto sia fantastica e straordinaria una cosa del genere: togliere la preoccupazione dei soldi quando sei ammalato. Ecco – sottolinea – questo non si fa appaltando il servizio sanitario nazionale al privato che ha esattamente l’obiettivo contrario. Cosa faremo quando non ci sarà più il servizio sanitario nazionale? La sanità privata non va certo demonizzata ma, come dice la Costituzione, essa deve intervenire dove il pubblico è carente e non sostituirsi al pubblico per fare le cose che rendono di più”.
Remuzzi precisa: “Io non ho niente in contrario al fatto che un paziente scelga un altro chirurgo Tal dei Tali di una clinica milanese che costa 10 volte di più di un chirurgo altrettanto bravo che opera in un ospedale pubblico. Però paghi lui. E naturalmente chi fa questo tipo di assicurazioni deve anche pagare per tutti noi, perché noi con le nostre tasse paghiamo per lui: se infatti dovesse avere un linfoma o una leucemia, non avrebbe mai i soldi per affrontare le cure di oggi, che sono spaventosamente costose”.
E ribadisce: “Insomma, è una questione profondamente culturale: a che posto mettiamo la sanità? Bisognerebbe comprendere quello che aveva già capito il re Giorgio III d’Inghilterra nel ‘700: il progresso di una nazione dipende solo dalla salute dei suoi cittadini. E questo, diceva re Giorgio III, è compito del re”.