Oltre ad aver abbassato le previsioni sulla crescita economia italiana del 2023 e del 2024, la Commissione Ue prospetta scenari poco incoraggianti per i lavoratori italiani. I salari continueranno a perdere potere d’acquisto e la famiglie saranno costrette a tirare ancora un po’ di più una cinghia già bella stretta. I risparmi scendono e, poiché i prezzi salgono molto più delle buste paga, di soldi per fare acquisti ce ne saranno sempre di meno. “Lo scorso anno la spesa per consumi è stata frenata dal minore reddito disponibile reale delle famiglie in una fase di elevata inflazione” scrive la Commissione nell’aggiornamento delle sue stime in cui aggiunge “I risparmi precedentemente accumulati sono diminuiti”. Il crollo del potere d’acquisto degli italiani era già stato segnalato qualche tempo fa dall’Ocse. In questo scenario già fortemente depresso l’eliminazione pressoché completa del Reddito di cittadinanza ha assestato un’altra mazzata alla domanda interna. La deputata del Pd Maria Cecilia Guerra rimarca quanto segnalato dalla Commissione
La Commissione europea prevede che in Italia i salari reali continueranno a calare per l’inflazione, perché i contratti non vengono rinnovati e nei rinnovi non si considerano i prezzi dei beni energetici importati. Meno salari,meno domanda interna, meno crescita. Elementare Watson
— maria cecilia guerra (@mceciguerra) September 12, 2023
Secondo le proiezioni di Bruxelles l’inflazione dovrebbe attestarsi al 5,9% nel 2023 e al 2,9% nel 2024. Sebbene i prezzi dell’energia siano diminuiti durante i primi mesi del 2023, non si prevede che continuino a esercitare pressioni al ribasso sull’inflazione nel 2024, aggiunge la Commissione, anche a causa della prevista eliminazione delle misure temporanee adottate per mitigare l’impatto dei prezzi elevati dell’energia. Si prevede inoltre che “l’aumento dei prezzi medi al consumo si ripercuoterà sul costo del lavoro solo parzialmente e con un notevole ritardo”. In altri termini, sebbene le aziende stiano giù incamerando i maggiori profitti che derivano dall’aver aumentato i prezzi dei loro prodotti, sono molto lente nel trasferire questo vantaggio ai loro dipendenti in forma di adeguamento dei salari all’inflazione. Come rimarca la Commissione “ciò è dovuto, da un lato, alla lunga durata degli accordi e delle negoziazioni salariali e, dall’altro, all’indicizzazione dei salari contrattuali a una misura dell’inflazione interna (quella programmata che è sempre al di sotto di quella effettiva, ndr) che esclude l’impatto dell’inflazione energetica importata”. Bruxelles vede quini un aumento molto graduale dei salari. Vale sempre la pena di ricordare come l’Italia sia l’unico paese dell’Ocse in cui i salari sono oggi più bassi di 30 anni fa.