Pochi di noi ricordano il primo giorno di scuola ma tutti ricordano la loro maestra e il bidello. Non ci viene in mente chi ci ha accompagnato sulla soglia del cancello o in aula. Non ci passa per la testa chi era il nostro compagno di banco e nemmeno se avevamo un grembiule nero, azzurro, rosa o bianco, ma tutti non abbiamo mai scordato il nome, lo sguardo, il taglio di capelli, la forma delle mani, il profumo, della nostra maestra. Così come non dimentichiamo la voce della bidella, il suo volto accogliente e premuroso, la cura che aveva per ciascuno di noi.

Alla scuola primaria “Alessandro Manzoni”, nel 1980, incontrai la maestra Teresa. Non so che giorno fosse, forse un lunedì di settembre. Chissà. Non so nemmeno che cartella avessi. Ciò che importa è che quello scambio di sguardi tra me e la maestra è rimasto indelebile. Dopo oltre quarant’anni è come se riuscissi a riascoltare la sua voce paziente, accudente, calda. E’ come se sentissi ancora la trepidazione e allo stesso tempo la rassicurazione che provavo ogni volta che il suo corpo, un po’ abbondante, si piegava sul banco per guardare il mio quaderno; per sussurrami qualche frase incoraggiante all’orecchio.

Se oggi sono un viaggiatore è grazie alla maestra Teresa che per cinque anni mi parlò del Mozambico, dove suo nipote Gian Luca era missionario comboniano. Che ne sapevo io, figlio di operai analfabeti, senza nemmeno un atlante in casa, dove fosse quel Mozambico? Eppure a 19 anni, quando arrivò il momento di prendere il primo volo andai proprio lì, ad incontrare il nipote missionario. La maestra Teresa mi aveva insegnato ad imparare, come canta Eugenio Finardi.

Se oggi credo di essere ateo è grazie alla maestra Teresa che ogni giorno mi faceva recitare il Padre Nostro, l’Ave Maria, il Gloria al Padre e l’Eterno riposo. Avevo sei, sette anni e già allora mi chiedevo chi fosse questo papà nei cieli, cosa fosse quel frutto del seno benedetto e perché mio nonno Antonio avrebbe dovuto avere una luce perpetua anziché restare con me. Quegli interrogativi tornarono nell’età della ragione.

Se oggi faccio il maestro, senza una cattedra ma sedendomi accanto ai miei alunni è grazie alla maestra Teresa che ogni sabato mi leggeva Cipì di Mario Lodi: il nome di quello scrittore che insegnava tornò da adulto tanto da andare a conoscerlo. Così come ricordo i bidelli: Paolo e Teresa. Furono loro i primi ad accogliermi per anni. Quel loro sorriso sornione, materno e paterno, era il biglietto da visita della mia scuola.

Non ricordo il volto della direttrice didattica, del preside alle medie. Non mi vien in mente chi fosse ministro dell’Istruzione quando misi per la prima volta piede a scuola.
Ciò che nessuno dimenticherà mai, invece, è la sua maestra, il suo maestro. Per loro resterai sempre quell’alunno e per noi resteranno per sempre coloro che ci hanno indicato la strada da percorrere nella vita.

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