“L’espansione delle miniere di cobalto e rame su scala industriale nella Repubblica democratica del Congo ha portato allo sgombero forzato di intere comunità e a gravi violazioni dei diritti umani, tra cui aggressioni sessuali, incendi dolosi e percosse“. L’accusa viene dal rapporto di Amnesty International ‘Alimentare il cambiamento o gli affari come al solito?’, pubblicato sul sito dell’Ong. Nel documento, Amnesty e l’organizzazione congolese Iniziativa per il buon governo e i diritti umani (Ibgdh) hanno fornito una descrizione dettagliata di come le compagnie multinazionali, nella loro corsa all’espansione delle operazioni minerarie, abbiano costretto le popolazioni locali ad abbandonare case e terreni. Per stilare questo rapporto, le due organizzazioni hanno condotto nel 2022 due visite separate nel Paese, intervistando oltre 130 persone in sei diversi progetti minerari, nella città di Kolwezi e nelle zone circostanti, nella provincia meridionale di Lualaba.
Come riportato da Amnesty, la Repubblica democratica del Congo è prima al mondo per riserve di cobalto e settima per riserve di rame. La domanda di cobalto è destinata ad aumentare: si prevede che raggiungerà le 222mila tonnellate entro il 2025, triplicando i valori del 2010. E tuttavia, pur riconoscendo “la funzione cruciale delle batterie ricaricabili nella transizione energetica dai combustibili fossili”, la segretaria generale di Amnesty, Agnès Callamard, ritiene che “la giustizia climatica richiede una transizione giusta”. In altre parole, “la decarbonizzazione dell’economia globale non deve portare a ulteriori violazioni dei diritti umani”. Questo, invece, è proprio quanto sta accadendo nel Paese: già vittime di “notevoli sfruttamenti e abusi” in epoca “coloniale e post-coloniale”, i diritti della popolazione congolese restano “ancora sacrificati”.