La luna di miele è già finita, anzi non è mai potuta cominciare. Spalletti e l’Italia, novelli sposini, non avranno tempo per le smancerie, quel periodo iniziale di ogni matrimonio tutto baci, carezze e occhi a cuoricino. Dopo il pareggio con la Macedonia, la sfida di oggi contro l’Ucraina è diventata praticamente uno spareggio per andare agli Europei. L’Italia, Spalletti e mettiamoci pure Gravina sono già (quasi) all’ultima spiaggia. Sembra un paradosso dopo appena una partita, una di quelle isterie tipicamente italiane, ma purtroppo è questa la situazione. C’è oggettivamente un pizzico di delusione. Probabilmente in tanti pensavano, speravano, che l’arrivo di Spalletti portasse in dote tutto l’entusiasmo ed il bel gioco dell’ultimo scudetto napoletano, spazzando via come per magia l’aria stantia dell’ultimo anno e mezzo dell’era Mancini. Era un’illusione, si è sopravvalutato il potere taumaturgico del tecnico di Certaldo e anche un po’ dimenticata la storia recente azzurra. Poco credibile che in una settimana un nuovo ct, chiunque esso fosse, potesse incidere su gambe, idee e anche testa della squadra. E poi storicamente gli esordi azzurri non sono mai stati fortunati. Con l’eccezione di Conte, praticamente tutti gli ultimi ct azzurri hanno stentato all’inizio, da Ventura (1-3 al debutto contro la Francia) a Prandelli (0-1 con la Costa d’Avorio), passando per Lippi I (0-2 con l’Islanda) e II (2-2 con l’Austria), fino ad arrivare a Donadoni (0-2 con la Croazia) e Trapattoni (2-2 con l’Ungheria). Lo stesso Mancini aveva iniziato con una prestazione claudicante proprio contro l’Arabia Saudita (ironia della sorte), e poi ci aveva messo 5 mesi (e altrettante partite) prima di trovare la vittoria e mettere in fila quello straordinario record di risultati utili consecutivi che sarebbe culminato nel trionfo europeo di Wembley. Ci vuole tempo per far maturare l’entusiasmo iniziale. Il problema è che Spalletti non avrà il primo, e rischia di giocarsi subito il secondo.
Poverino, non è colpa sua (anche se in Macedonia era lecito aspettarsi qualcosa di più, almeno a livello psicologico). Certo non gli si può mettere in conto la brutta sconfitta dello scorso marzo in casa contro l’Inghilterra (che pesa tanto, alla luce del pareggio strappato dall’Ucraina contro gli inglesi), e probabilmente nemmeno lo scivolone di Skopje, attribuibile ancora alla vecchia gestione e quanto successo in estate. Sta di fatto però che la classifica è drammatica: ad oggi la qualificazione ai prossimi Europei è a forte rischio. E se pensiamo che si tratta di un torneo a 24 squadre, dove partecipa praticamente il 50% dell’intera confederazione Uefa che conta 54 Paesi, si capisce bene la gravità della situazione. È semplice: salvo colpi di scena (tipo andare a vincere in Inghilterra, avviata verso il primo posto, o confidare in un passo falso dei rivali contro Malta o Macedonia), per la seconda piazza diventa decisiva la doppia sfida contro l’Ucraina, andata martedì sera a San Siro, ritorno il 20 novembre in campo neutro da definire (causa guerra). Gli azzurri sono obbligati ad uscirne vincitori: un successo in casa è fondamentale per avere due risultati su tre fuori, col pareggio invece servirebbe l’impresa fra un mese. In caso di sconfitta siamo condannati al terzo posto e quindi agli spareggi. È vero che stavolta le rivali sarebbero abbordabili, ma la formula è comunque impegnativa (due gare, semifinale e finale con sede definita a sorteggio). Uno spauracchio che nessuno, dopo le esperienze contro Svezia e Macedonia, vorrebbe rivivere. Per questo contro l’Ucraina è già una gara da dentro o fuori.
Dentro (vincere a San Siro, uscire indenni dalla trasferta) vuol dire far partire il nuovo ciclo di Spalletti con l’entusiasmo che meriterebbe: andare agli Europei, giocarsela senza troppe pressioni e poi progettare per il Mondiale 2026 negli Usa, vero orizzonte di riferimento della nazionale. Fuori (pareggiare, o peggio ancora perdere) significa invece sprofondare nel tunnel. È evidente che nessuno ritiene o potrebbe mai ritenere Spalletti responsabile dello stato comatoso del movimento. È altrettanto evidente, però, che sia stato scelto per portare la nazionale agli Europei, obiettivo minimo e non derogabile. La mancata qualificazione, dopo quelle ai Mondiali di Russia 2018 e Qatar 2022, sarebbe l’ennesima apocalisse azzurra a cui nessuno potrebbe mai sopravvivere. Né Spalletti, e neppure Gravina (ma quella è un’altra partita, tutta politica). Decisamente meglio battere l’Ucraina.