Ambiente & Veleni

Negli anni Settanta l’Italia ha distrutto il Servizio idrografico nazionale: un miracolo a rovescio

“Vengono fatte le processioni per riprendere le rogazioni e per richiamare, tra preghiere e atti di penitenza, quella pioggia che manca da mesi” (v. Ansa.it). Non siamo nell’Alto Medio Evo, ma ai giorni nostri; per la precisione, lo scorso mese di agosto nel Ponente Ligure. D’altra parte, le processioni e le cerimonie religiose pro pluvia sono eccellenti indicatori indiretti per la ricostruzione dei climi del passato. E ben vengano quelle del 2023, a futura memoria.

In attesa di una risposta laica alla crisi — possibilmente senza voli pindarici, teatrini da avanspettacolo o strappi tecnologici — bisogna domandarsi come si possa agire senza sapere. Dal 2013 in poi, non sono stati ancora pubblicati i dati idro-meteorologici della Liguria, ammesso che esistano. Non solo, la portata dei fiumi non si misura quasi più. E tanto meno quella delle falde acquifere. Senza dati, è più facile volare con la vena di Pindaro, arringare la gente con promesse fantascientifiche, imporre salvifiche tecnologie di derivazione spaziale.

Senza dati, come possiamo rispondere senza facezie e contorsionismi all’impatto della crisi climatica sul ciclo dell’acqua?

Negli anni ’70 del secolo scorso, l’Italia ha distrutto il Servizio Idrografico nazionale, delegando alla Regioni questo compito, fondamentale per la vita quotidiana, l’ambiente, gli ecosistemi. Il Servizio, istituito nel 1917, era frutto di una geniale iniziativa del tutto pionieristica, un modello poi copiato universalmente. Il fondatore, Giulio De Marchi, lo impostò secondo criteri avanzati di continuo aggiornamento scientifico. E, senza questa istituzione, il paese non avrebbe potuto costruire impianti idroelettrici efficienti, bonificare vaste aree malariche, garantire l’irrigazione dei campi e il rifornimento idrico civile e industriale, realizzare efficaci sistemi fognari.

La distruzione dei Servizi Tecnici Nazionali tramite la proliferazione localistica di pani e pesci, poltrone, poltroncine e strapuntini è uno dei miracoli a rovescio di questo paese, l’esito infausto dell’attuazione dell’ordinamento regionale, poi santificato dal Titolo V della Costituzione. A nulla valsero le grida degli idrologi e dei geologi, accademici e professionisti per una volta assieme, perché l’appetito della politica non tollera intrusioni. E non sapere dove, come, quando e quanto scorra l’acqua sul territorio fa molto comodo ai politici inetti, agli affaristi avidi di emergenze, ai media liberi di sbizzarrirsi in congetture fantasy. Nella Liguria tirrenica, il confronto della situazione attuale con quella ereditata dal Servizio Idrografico Nazionale è impietoso (v. Figura 1).

Senza ricorrere alle favole di Esopo, già nel Rinascimento si sapeva che l’idrologia è una scienza basata sulle osservazioni. L’imbarazzo di chi debba affrontare in Italia la difesa del suolo, il bilancio idrico o lo sviluppo degli impianti idraulici è perciò evidente. L’incertezza condiziona tanto la pianificazione e la gestione delle risorse idriche quanto la progettazione delle opere di difesa idraulica, compreso il dimensionamento dei ponti e delle strade che frammentano le reti idrografiche con una densità che, sulla costa italiana, è la più elevata del mondo.

Come sostenne Leonardo da Vinci, «se t’avviene di trattar delle acque, consulta prima l’esperienza e poi la ragione». Per contro, oggi si percorre esattamente la via opposta, anche se tutti sanno che gli studi teorici e i modelli matematici sono strumenti palliativi, se privi di una concreta validazione tramite le osservazioni sul campo. E quanto più tali osservazioni sono prolungate, tanto più saranno affidabili i risultati dei modelli.

In materia di controllo sistematico del ciclo dell’acqua, l’ignavia della politica e della pubblica amministrazione è alimentata da una visione tossica del bene pubblico, frutto della cronica incapacità di concepire modelli concreti di sviluppo sostenibile. Misurare in modo sistematico la portata di fiumi e falde è non solo un’attività labour intensive, ma anche un impegno costante, che non tollera approcci episodici. E non fa rima con l’emergenza, il santo Graal della politica, degli affari, dei media.

Non mancano buoni motivi perché questa attività venga trascurata. È un lavoro pericoloso per chi abbia necessità di manipolare la realtà in caso di contenzioso. Le misure sistematiche evitano la sopraffazione burocratica, impedendo alla tecno-burocrazia di deliberare concessioni, emanare vincoli, prescrivere tecnologie senza spiegazioni né tema di contestazioni. Meglio le congetture e bando alle confutazioni! Ci sono quindi buone ragioni perché gli italiani non misurino più il deflusso idrico nei fiumi e nelle falde.

Per approvvigionarsi d’acqua e rifornire le utenze civili, le acque sotterranee sono la fonte migliore sotto molti punti di vista; naturalmente se e quando sono disponibili. Nella Liguria tirrenica, chi lo sa? Se il Servizio Idrografico Nazionale misurava sistematicamente le falde acquifere, questa attività pare oggi del tutto sconosciuta (v. Figura 2).