La strage del Mottarone deve finire a processo. E a risponderne devono essere 6 persone e due società. È la richiesta avanzata dalla procura di Verbania per la tragedia della funivia che collega Stresa alla cima della montagna, dove il 23 maggio 2021 un cavo si staccò facendo precipitare nel vuoto una delle cabine, provocando la morte di 14 persone.
Dopo più di due anni di indagini sulle responsabilità di chi avrebbe dovuto garantire la sicurezza dell’impianto di risalita, i pm hanno chiesto il rinvio a giudizio per responsabilità amministrativa di Ferrovie del Mottarone e Leitner, nonché di Luigi Nerini, titolare della prima, Enrico Perocchio e Gabriele Tadini, allora rispettivamente direttore d’esercizio e capo servizio dell’impianto, Anton Seeber, amministratore delegato di Leitner, Martin Leitner, consigliere delegato, e Peter Rabanser, responsabile del Customer Service.
Due gli elementi al centro dell’inchiesta guidata dalla pm Laura Carrera e coordinata dalla procuratrice capo Olimpia Bossi: le ragioni per cui la fune traente si spezzò e il mancato funzionamento del sistema frenante di sicurezza, dovuto all’inserimento dei cosiddetti forchettoni. Per accertare le cause dell’incidente sono state prodotte due perizie, depositate nel settembre dello scorso anno e successivamente discusse nel corso dell’incidente probatorio tra ottobre e dicembre, che hanno rilevato che la fune era corrosa ben prima dell’incidente e che una corretta manutenzione avrebbe potuto rilevarlo.
Per i periti l’incidente è stato causato dal degrado della fune traente “in corrispondenza dell’innesto” nella testa fusa e la presenza dei forchettoni che hanno escluso il funzionamento dei freni d’emergenza: “In corrispondenza del punto di rottura – si legge nel documento – il 68% circa dei fili presenta superfici di frattura che testimoniano una rottura (…) a fatica/corrosione dei fili ragionevolmente antecedente” l’incidente. Prima del giorno della tragedia, stando alla perizia, la fune era già degradata. Per questo, scrivono gli ingegneri, un controllo adeguato “avrebbe consentito di rilevare i segnali del degrado, ovvero la presenza anche di un solo filo rotto o segni di corrosione e, quindi, di sostituire la testa fusa così come previsto dalle norme”.
Le accuse contestate a vario titolo sono attentato alla sicurezza dei trasporti, rimozione o omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, disastro colposo, omicidio plurimo colposo, lesioni colpose gravissime e, solo per Tadini e Perocchio, anche il falso. Toccherà ora al giudice per l’udienza preliminare decidere se accogliere o rigettare la richiesta dell’accusa. Leitner ha diffuso una nota per dirsi “stupita” delle presunte responsabilità a carico dei vertici e della stessa società e che “all’azienda e ai suoi vertici venga contestata l’omessa vigilanza dell’operato del direttore d’esercizio quale pubblico ufficiale, vigilanza che per legge spetta agli uffici pubblici preposti”, ovvero l’Ustif, organo periferico del ministero dei Trasporti.