Sono senza parole, difficile anche trovarne per scrivere due righe. E a Napoli mi accade sempre più spesso, davanti all’evitabile, alle tragedie annunciate. Ci siamo appena scrollati di dosso lo sdegno per lo stupro collettivo e continuativo delle due bambine di Caivano, che ci troviamo davanti all’orrore puro. Un sedicenne esce armato, scoppia la lite per un parcheggio e ammazza a bruciapelo Giogiò, l’ultimo proiettile sparato alle spalle, lo lascia in un mare di sangue e va a giocare a carte.
Il malavitoso in erba era appena tredicenne quando aveva tentato di accoltellare un altro ragazzo. Il giovane perduto, forse, si poteva salvare, o almeno tentarci. Invece per lui niente riformatorio, né assistenti sociali. Quando lo Stato sul territorio è inesistente. Se la legge fosse stata applicata allora, ci sarebbe stato, forse, un assassino in meno e Giogiò sarebbe ancora in mezzo a noi.
Funerali di Stato, ministri, la bara all’uscita della chiesa sollevata dai suoi amici più cari verso il cielo, sulle note dell’Inno alla Gioia di Beethoven suonata dalla Orchestra Scarlatti juniores, di cui Giogiò faceva parte. Era una giovane promessa e aveva un futuro radioso davanti a lui. Siccome la cultura non paga (grazie, ministro Sangiuliano, per aver stanziato un fondo affinché anche ai giovani musicisti venga riconosciuta una retribuzione), Giogiò lavorava come barista a Piazza Bellini, era andato alle 3 del mattino a rifocillarsi con un hot dog. Dove l’aspettava il baby assassino dal grilletto facile.
Lutto cittadino, non so bene cosa significhi, ero in piazza e non ho visto una sola saracinesca abbassata. Giogiò, l’eroe buono, subito dimenticato. Il giorno dopo, neanche 24 ore dopo la cruda e solenne omelia del cardinale Battaglia: “Tutti noi abbiamo armato la mano del killer”, passo davanti alla paninoteca del “fattaccio”, mi aspettavo un tappeto di fiori, messaggi, pensieri e preghiere appesi ovunque. Nulla, solo uno scarno comunicato che giustifica la chiusura.
Napoli è una città che ingoia troppo in fretta. Si mette a guardare e poi gira la testa dall’altro lato. Fino al prossimo morto ammazzato. Benedetto Croce scriveva di Napoli: un paradiso abitato da diavoli. Curzio Malaparte ricordava come, all’arrivo a Napoli dell’esercito alleato, padri di famiglia nei vicoli “buii” erano disposti a vendersi la verginità della figlia al soldato che pagava meglio. Dopo 75 anni ancora si intrecciano malaffare, traffici di droga, armi, tutto passa per i fortini dei nuovi boss, sempre più giovani, sempre più violenti. Qui i copioni di Gomorra e Mare Fuori sono realtà. L’Innominato (i giornali pubblicano solo le iniziali, trattandosi di un minore) cerca un attenuante, o forse neanche, i Quartieri Spagnoli sono stati il suo battesimo con il fuoco: “Ho imparato a sparare lì”.
Ps 1) Lunedì ripasso per Piazza Municipio. Oltre al deserto dei sentimenti, all’ombra dello scheletro “arrostito” della Venere degli Stracci (ma cosa ci fa ancora lì?) mi trovo invece lo squallidissimo Bufala Fest. L’ammucchiata mangereccia non c’era e non c’è stata. Ma è come se a Piazza della Scala facessero la sagra della porchetta o a Piazza della Signoria a Firenze la festa del cinghialone.
Ps 2) E ci aspettano ancora 3 giorni di concerto a Piazza Plebiscito di Liberato. Chi sarà mai costui, il nuovo rapper che manda in visibilio le folle? Visto che gira incappucciato, nessuno conosce la sua faccia. Non penserete mica di blindarci ancora una volta in casa? Poveri noi che abitiamo nel quartiere Chiaia! Napoli e le sue piazze più rappresentative hanno anche bisogno di trovare un loro decoro urbano. E su questo punto so di avere un alleato certo, il ministro Piantedosi.