Cultura

“La ragazza dell’Orient Express”: Agatha Christie indaga su sé stessa e sul potere dei segreti nel nuovo libro della reporter della Bbc

“Pochissimi di noi sono ciò che sembrano” scrisse Agatha Christie, che viaggiò davvero sull’Orient Express. FqMagazine pubblica in anteprima esclusiva un estratto del nuovo romanzo di Lindsay Jayne Asfhord che vede l'iconica scrittrice nelle vesti di protagonista e - per una volta - non di narratrice

di F. Q.

Tre segreti. Tre donne. Una di loro è Agatha Christie, nientedimeno. Questa volta, però, la scrittrice più iconica e tradotta al mondo – circa tre miliardi di copie vendute, numeri da far impallidire qualunque uomo, fosse pure un generale – non è chiamata a dipanare il rebus di uno dei suoi meravigliosi gialli, ma ad affrontare un’indagine ancora più difficile: quella su sé stessa. Il suo ex marito, Archie Christie, è vivo e vegeto, talmente vivo da averla lasciata per un’altra, eppure il suo fantasma non smette di tormentarla: la assale in ogni angolo di quello che è stato il loro nido e non le lascia requie. Le appare persino a una fermata dell’Orient Express, su cui si è imbarcata in incognito per allontanarsi dalla morbosa curiosità dei giornalisti e dall’oppressione di Londra. Sarà lui l’uomo che bacia quella ragazza in partenza, o di nuovo il suo fantasma? Che scherzi crudeli fa un cuore a pezzi, pensa amaramente Agatha, e intanto spera che la malia di Baghdad, la meta ultima del loro convoglio, la guarisca da quell’incubo.

Ma a bordo del treno che da lì a poco sarà immortalato nel suo leggendario romanzo, la Christie non è l’unico passeggero ad avere qualcosa da nascondere, e a sperare di trovare nel deserto un nuovo inizio alla propria vita. Il primo matrimonio dell’archeologa Katharine Keeling, la sua compagna di cabina, è sospettosamente finito in tragedia e lei si è lanciata in una nuova relazione, che però è fondata su un inganno. E un’altra viaggiatrice, Nancy Nelson, sposata di fresco, porta in grembo il figlio di un altro uomo, ma sa di non poter celare ancora a lungo la gravidanza. Ognuna delle tre donne sta fuggendo da un passato oscuro, che è decisa a proteggere ferocemente. Mentre il treno corre, tappa dopo tappa, qualcosa annoderà le loro vite in un legame destinato a non sciogliersi mai più.

È questo il plot di “La ragazza dell’Orient Express”, il romanzo di Lindsay Jayne Asfhord, narratrice di gran talento, laureata in Criminologia, già reporter della BBC, nonché prima donna a diplomarsi presso il Queen’s College di Cambridge nei suoi 550 anni di storia. Dopo aver scalato le classifiche in tredici lingue e una sessantina di Paesi al mondo, il bestseller, tanto emozionante quanto saldamente ancorato alla realtà storica, arriva da oggi nelle librerie italiane, pubblicato da Libreria Pienogiorno. In perfetto orario rispetto al nuovo film di Kennet Branagh che, nei panni di Hercule Poirot, sbarca da questo weekend nelle sale.

“Ho voluto mescolare fatti di vita vissuta con elementi di fantasia” spiega la scrittrice. “Il mio intento era quello di puntare i riflettori su un periodo difficile e misterioso della vita di Agatha Christie. Quando suo marito Archie confessò di avere una relazione, Agatha subì un tracollo emotivo che sfociò in un forte esaurimento nervoso. La malattia fu all’origine della sua ‘sparizione’ per un periodo di dieci giorni, durante il quale trovò rifugio in un albergo nel nord dell’Inghilterra. Lì visse sotto il nome di ‘Mrs Neele’ fino al momento in cui fra il personale dell’albergo qualcuno non si insospettì e si rivolse alla polizia. Anche il personaggio di Katahrine è realmente esistito e Agatha la conobbe veramente: si ritiene che abbia ispirato quello di Louise Leidner del romanzo ‘Omicidio in Mesopotamia’. E il primo marito della Woolley si tolse davvero la vita sei mesi dopo il loro matrimonio, per quanto la curiosa malformazione fisica cui si fa riferimento nel mio libro sia ancora soggetta a speculazioni di vario genere”.

Il risultato di questa riuscita mescolanza di “facts and fiction” è un romanzo evocativo e ricco di suspense, che esplora i legami di amicizia femminili e il potere dei segreti. “Pochissimi di noi sono ciò che sembrano” scrisse Agatha Christie, che viaggiò davvero sull’Orient Express, compiendone tutta la tratta, da Parigi, a Venezia, a Istambul, per poi proseguire verso l’Iraq, dove avrebbe conosciuto il suo secondo marito. In fondo sapeva che non c’è mistero più grande del cuore di una donna. Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo in esclusiva un’anticipazione di “La ragazza dell’Orient Express”:

Si può essere ossessionati dal ricordo di qualcuno che non è ancora morto? Nelle settimane successive al loro divorzio, il fantasma di Archie Christie inseguiva Agatha ovunque. Seduta nella casa oramai vuota, sentiva i suoi passi sulle scale. Svegliandosi nel cuore della notte, avvertiva il peso del suo corpo nel letto. E quando apriva l’armadio, coglieva nell’aria il familiare sentore del suo sapone da barba frammisto all’aroma delle sigarette, nonostante da tempo ormai i vestiti di lui non fossero più lì dentro. Era come se tutti i suoi sensi stessero complottando per farle perdere la ragione.

Il viaggio sull’Orient Express era un tentativo di sfuggire a quel fantasma. Aveva detto a tutti, soprattutto a sé stessa, che si trattava di una semplice vacanza, ma era la prima volta che viaggiava all’estero da sola. Nei due mesi che l’attendevano, qualsiasi decisione avesse preso sarebbe stata unicamente una sua scelta. Avrebbe così scoperto se era in grado di farcela con le proprie forze. Se poteva sopportare il peso della solitudine.

Lo steward la informò che avrebbe avuto lo scompartimento tutto per sé fino a Belgrado e così rimase sdraiata nella cuccetta senza chiudere le tendine, a osservare il paesaggio al crepuscolo mentre il treno attraversava i campi della Normandia, sfrecciando accanto ai meli spogli dopo il raccolto, e alle scure sagome dei cavalli spaventati dal fragore della locomotiva. Era difficile immaginare che soltanto dieci anni prima quel posto fosse stato un campo di battaglia.

Pensò ad Archie che sorvolava quei luoghi a bordo del suo biplano Cody. Quando era scoppiata la guerra, lui era uno dei pochi piloti inglesi qualificati. Era stato fortunato a sopravvivere. Le aveva scritto dalla Francia, quando non erano ancora sposati, chiedendole se temesse per la sua vita. Agatha aveva colto fra le righe il suo bisogno di essere rassicurato, dati i pericoli che correva. Gli aveva risposto che non era minimamente preoccupata perché l’aveva visto in volo e sapeva quanto fosse bravo, nella busta aveva poi infilato delle violette e un’immaginetta di san Cristoforo. Era stata ben attenta a evitare qualsiasi riferimento all’attività che lei svolgeva in patria, ai corpi devastati degli uomini e dei ragazzi che curava ogni giorno all’ospedale di Torquay.

Il matrimonio si era celebrato in tutta fretta la Vigilia di Natale del 1914. Si trovavano a casa della madre di lui e dopo aver detto ad Agatha che sarebbe stato un errore sposarsi con una guerra in corso, il mattino seguente alle otto Archie era entrato nella sua camera annunciandole che aveva cambiato idea: dovevano sposarsi subito. Poiché godeva di una licenza di sole quarantott’ore, non c’era stato tempo per comprare un vestito, scegliere i fiori, neppure per ordinare una torta. Agatha si era presentata all’altare col tailleur che aveva indossato per il colloquio all’ospedale. Un amico, che passava per caso davanti alla chiesa, si era prestato a fare loro da testimone, e avevano dovuto sborsare otto sterline a un prete per vedere soddisfatta la loro richiesta balzana. La luna di miele era durata una sola notte, dopodiché Archie era ripartito per la Francia.

Agatha chiuse gli occhi nel tentativo di allontanare dalla mente il ricordo del corpo agile e robusto di Archie sopra di lei. Viaggiò indietro nel tempo, tornando a un luogo della mente dov’era sempre estate, alla spiaggia ai piedi della scogliera di Dover, dove avevano trascorso giorni spensierati in cerca di granchi nelle pozze che si formavano sugli scogli, mangiando uova sode e sandwich.

Dopo un po’ scivolò nel sonno. Si svegliò perché il treno si era fermato. Dove siamo?, si chiese. Parigi? O più lontano? Digione? Losanna? Si puntellò su un gomito e sbirciò fuori dal finestrino.

Sulla banchina illuminata dalla fioca luce della luna, colse la sagoma di un uomo. La figura aveva qualcosa di orribilmente familiare. Gli zigomi alti e prominenti, gli occhi che brillavano come diamanti. Poteva essere…? Sbatté le palpebre e allungò il collo. Erano mesi che non lo vedeva, ma adesso Archie era lì, fuori dal finestrino. Come se l’avesse seguita oltre la Manica, perdendola di vista a Calais e poi, con velocità sovrannaturale, fosse riuscito a giungere lì, in quella stazione, prima di lei.

Archie non guardava lei, ma l’orizzonte. Aveva un’aria impaziente e storceva le labbra che a un tratto presero a muoversi come se stesse parlando a qualcuno anche se attorno a lui non c’era nessuno. D’un tratto la sua voce riecheggiò nella testa di Agatha.

Scappi di nuovo, eh? Magari questa volta ti andrà meglio…

Agatha chiuse gli occhi, dicendosi che non era possibile che fosse lui. Archie era in Inghilterra, sotto le coperte. Probabilmente in quel preciso istante stava sognando l’altra e quello che avrebbero fatto nel giro di pochi giorni, dopo il matrimonio.

Quando smise di torturarsi e guardò di nuovo, era scomparso. Cercò di convincersi che la sua fantasia le stava giocando brutti scherzi. Quando il treno riprese a muoversi, si adagiò sul cuscino e s’impose di respirare lentamente contando fino a quattro. A ogni respiro sentiva l’odore confortante delle lenzuola fresche di bucato. Poi fece un elenco mentale di tutte le delizie che quel viaggio aveva in serbo per lei: il cibo, la musica, i luoghi che avrebbe visitato. Trovarsi a bordo di un treno le dava un senso di profonda sicurezza.

Fuori dal finestrino apparve una piatta distesa d’acqua. Per qualche inspiegabile motivo, mentre osservava il lago, le venne in mente Hercule Poirot. Che cosa avrebbe fatto in una situazione del genere il piccolo detective belga?

La risposta arrivò in un lampo. Devi usare le piccole cellule grigie.

Sì. Certo. Ma in che modo, esattamente?

Ad Agatha non sfuggì l’ironia della situazione. Eccola lì, a bordo del treno che aveva già deciso sarebbe apparso in una delle sue prossime trame, ad aspettare che un parto della sua immaginazione le suggerisse come agire…

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