Il magistrato Nicola Gratteri concluderà la sua carriera a Napoli. Il Csm lo ha deciso andando anche oltre il minimo dei voti che servivano per la nomina a capo della più grossa procura europea: 19 voti al Plenum non lasciano dubbi sulla sua candidatura e spazzano in un solo colpo tutti i veleni e gli attacchi che, da più di un anno, Gratteri è stato costretto a subire dalle camere penali e da pezzi della politica. E se nei mesi scorsi c’era chi invocava l’intervento addirittura del presidente della Repubblica, a poche ore dalla discussione al Plenum il deputato di Italia Viva Roberto Giachetti ha chiesto al presidente della Camera di intervenire sul Consiglio superiore della magistratura per stigmatizzare una dichiarazione di Gratteri, vecchia di quattro mesi, in merito ad alcune interrogazioni parlamentari sulla vicenda giudiziaria dell’ex senatore di Forza Italia e imputato per mafia Giancarlo Pittelli. “Non posso rispondere a imputati ai domiciliari che chiamano parlamentari per dettare interrogazioni, non posso scendere a questo livello”.
La polemica di Giachetti – Tanto è bastato a Giachetti per insinuarsi, con la precisione di un orologio svizzero, nel dibattito alla vigilia della discussione del Plenum e dichiarare: “Uno che dovrebbe pure andare a fare il procuratore a Napoli. Tutta la mia solidarietà ai napoletani”. Per la disperazione dell’esponente di Iv, che ha dovuto digerire pure il voto del suo compagno di partito Ernesto Carbone a favore di Gratteri, il Csm ha deciso e per i prossimi anni sarà il magistrato calabrese a guidare la procura di Napoli e combattere la camorra dopo aver diretto, dal 2016, la Dda di Catanzaro. Nel capoluogo calabrese il suo nome è legato a una delle più importanti inchieste antimafia: l’operazione “Rinascita-Scott” che ha scardinato la cosca Mancuso di Limbadi, padrona incontrastata del vibonese, i suoi addentellati e pure i rapporti tra ‘ndrangheta, massoneria, professionisti, imprenditori, pezzi delle istituzioni e politica.
Le inchieste negli anni – È l’inchiesta, infatti, nella quale è stato arrestato l’ex senatore di Forza Italia Pittelli per difendere il quale in molti, non solo il centrodestra, si sono sbracciati tanto in Calabria, dove le camere penali per due anni di fila hanno indetto “scioperi ad personam”, quanto a Roma dove sono fioccate le interrogazioni parlamentari. Ma “Rinascita-Scott” è la punta di diamante dell’immane lavoro di Gratteri e dei suoi pm che, in questi anni, hanno istruito processi contro tutte le famiglie mafiose delle province di Catanzaro, Cosenza, Crotone e Vibo Valentia. Basta ricordare, per citarne qualcuna, le operazioni “Stige”, “Reset”, “Jonny”, “Imponimento”, “Stammer”, “Crisalide”, “Glicine-Acheronte”, “Maestrale-Carthago” e “Basso profilo”.
La carriera – Entrato in magistratura nel 1986, però, la sua carriera è iniziata 36 anni fa, nel 1987 a Locri dove è stato prima giudice del Tribunale e poi, dal 1991 al 1995, sostituto procuratore. Incarico che, dal gennaio dell’anno successivo Gratteri ha svolto anche a Reggio Calabria dove nel 2009 è diventato procuratore aggiunto e dove, in un Paese normale, un Csm lontano da logiche di corrente nel 2013 lo avrebbe potuto nominare procuratore capo, dando continuità a un lavoro che gli è costato sacrifici professionali e umani. Reggio Calabria, infatti, era il posto naturale di Gratteri che dal 1989 è sotto scorta e vive con la sua famiglia in una villetta blindata di Gerace, in piena Locride che è il regno di quella ‘ndrangheta che ha combattuto e per la quale il procuratore è diventato la “bestia nera”. Vere padrone del territorio, a quelle latitudini, le famiglie mafiose della Locride controllano tutto: dagli esercizi commerciali agli appalti, dal traffico di droga alla politica. Finanche l’aria che i calabresi respirano è prerogativa dei clan che lì decidono chi deve vivere e chi deve morire.
La strage di Duisburg – Ci sono zone in cui è lo Stato a doversi infiltrare fra i convitati di pietra che gestiscono i palazzi della politica e delle istituzioni. E Gratteri, quando ha lavorato alla Procura di Reggio Calabria, lo ha fatto riuscendo a dimostrare che la ‘ndrangheta è unitaria. Se oggi questo è un dato assodato, spendibile in tutti i tribunali d’Italia, lo si deve alla sua inchiesta “Crimine” nell’ambito della quale l’allora procuratore aggiunto è riuscito addirittura a filmare, nel 2009, un summit a Polsi, nel cortile di quel santuario diventato un simbolo che la ‘ndrangheta ha strappato alla Chiesa. Nella sua stagione in riva allo Stretto, inoltre, il magistrato di Gerace ha coordinato inchieste delicatissime come quella sulla strage di Duisburg, consumata nel giorno di ferragosto del 2007. Da anni Gratteri aveva avvertito le autorità tedesche che le famiglie mafiose della Locride stavano allungando i loro tentacoli oltre i confini nazionali italiani. Allarmi ai quali la Germania ha fatto orecchie da mercante considerando la ’ndrangheta al pari di un fenomeno folcloristico. Quei sei morti hanno risvegliato l’opinione pubblica tedesca, apparsa stordita la mattina di quel 15 agosto quando una pioggia di piombo ha lasciato a terra sei giovani trucidati davanti al ristorante “Da Bruno”: era il culmine della faida di San Luca tra le cosche Nirta-Strangio e i Pelle-Vottari.
Le inchieste sul traffico di droga – Ma il nome di Gratteri è collegato soprattutto alle maxi-inchieste sul narcotraffico internazionale di sostanze stupefacenti. “Gordo”, “Supergordo”, “Borsalino”, “Solare”, “Nostromo”, “Armonia”, “Igres”, “Stupor Mundi”: sono solo alcuni dei fascicoli curati dal magistrato e sfociati in numerosi arresti e sonore condanne per gli indagati. Fiumi di droga che i narcos colombiani vendono agli emissari delle ’ndrine. Tonnellate di cocaina che Gratteri è riuscito a intercettare nel corso delle sue indagini in cui ha avuto la possibilità di lavorare a stretto contatto con forze dell’ordine e con magistrati stranieri. Con questi è riuscito a intessere una serie di rapporti che gli hanno consentito di godere della fiducia incondizionata tra gli inquirenti europei, del Sudamerica e degli Stati Uniti.
Erano gli anni in cui Gratteri, se non fosse stato per il veto (mai smentito) dell’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, stava per essere nominato ministro della Giustizia nel governo Renzi. Ma soprattutto erano gli anni in cui è diventato il bersaglio numero uno dei boss. Il nome del magistrato faceva e fa venire il sangue agli occhi ai vertici delle cosche calabresi. Da decenni, infatti, Gratteri ha imparato a convivere con le notizie dei vari progetti di attentato nei suoi confronti. Nel 2005, nell’ambito dell’inchiesta “Nostromo” contro la cosca Coluccio venne intercettata una conversazione nel carcere di Melfi tra un boss di Gioiosa Jonica e suo genero. Alla domanda “Perché tutto questo sangue?”, la risposta secca di uno dei due ha lasciato impietriti gli investigatori: “Perché Gratteri ci ha rovinato”. “Per fortuna non mi annoio mai. Ormai sono abituato. Con la morte bisogna convivere”. Era stata la reazione, all’epoca, del magistrato reggino per il quale, pochi anni prima, l’eliminazione era stata auspicata da quasi tutti i vertici della ’ndrangheta in occasione di un summit. Da tutti tranne uno, il mammasantissima di Africo, Giuseppe Morabito, arrestato dal Ros il 18 febbraio 2004. Ed è stato proprio il boss conosciuto con il nome “Tiraddrittu”, a svelargli la notizia poche ore dopo la cattura. Una scrivania li separava all’interno della sede del Raggruppamento operativo speciale di Reggio Calabria. “È colpa mia se oggi siamo uno di fronte all’altro” le uniche parole che l’anziano boss rivolse a Nicola Gratteri. Un giudice “solo”, lontano dalle correnti, fuori dal comune, abituato a vivere controllando le proprie emozioni, anche quelle positive. Come la nomina a procuratore della Repubblica di Napoli.