“Non ci sono strade asfaltate per entrare nel nostro villaggio, siamo bloccati. Nessuno può entrare o uscire. Le uniche strade sono sterrate e ostacolate da massi giganti”. È quanto spiega Mustafa Ait Hammou a Ilfattoquotidiano.it a proposito della situazione nella sua comunità montana amazigh di Agadir Ouzir, nella provincia di Souss-Massa, a circa 60 chilometri dall’epicentro del terremoto e 250 a sud-ovest da Marrakech. Dopo più di 72 ore dal sisma che ha scosso il Marocco, provocando quasi 3.000 morti e altrettanti feriti, Agadir Ouzir, come molti altri villaggi rurali dell’Atlante, è stato quasi completamente cancellato dalle mappe ma, paradossalmente, “non è ancora stato raggiunto dai soccorsi”.

Come chiarisce infatti Mustafa, “le persone, che hanno subìto ingenti danni materiali, dormono ancora all’aperto, senza tende o accesso ai servizi base. La notte poi le temperature scendono fino ai 10 gradi”. “Nessuno al villaggio si fida di ritornare in quelle pochissime case ancora in piedi. Alcune sono completamente cadute, tutte le altre sono disastrate”, continua Mustafa spiegando che “qui la popolazione è povera e debole. C’è chi ha perso tutto. Una famiglia ha perso più di 20 capi di bestiame, ancora tutti sotto le macerie, e la puzza inizia a sentirsi forte. Abbiamo bisogno di aiuto e le autorità locali non stanno intervenendo”. Sulla televisione nazionale invece si annuncia che tutti i villaggi “sono stati raggiunti dagli aiuti” proclamando il successo delle missioni di soccorso.

“Nella notte del terremoto mi trovavo, insieme ad altri turisti, in un rifugio sul monte Toubkal”, spiega invece a Ilfattoquotidiano.it Mohammed Bouraya, scrittore e traduttore italo-marocchino che si trovava l’8 settembre in campeggio verso la vetta più alta del Marocco. “Appena ci siamo messi a letto abbiamo avvertito una forte scossa, non capivamo però cosa fosse. Erano momenti di panico, tutti si svegliarono e alcuni pensavano addirittura a un attentato terroristico. Solo la mattina seguente abbiamo capito che c’era stato un terremoto nella notte. Mi sono quindi diretto a piedi verso il villaggio di Asni, a più di 15 chilometri dal campeggio, e ho iniziato a capire quanto fosse grave la situazione. Era impossibile attraversare la strada in auto, c’erano massi grandi come camion a ostacolare il sentiero. È stato un passante a salvarmi dandomi un passaggio in moto”. Continua Mohammed: “Arrivando ad Asni ho visto invece il potere distruttivo del terremoto. Quasi tutte le case erano diroccate e c’erano tantissimi morti e feriti. Ho notato però pochi soccorsi”. Mohammed attraversa poi le montagne dell’Atlante per circa 50 chilometri prima di arrivare a Marrakech dove nota invece “una grande presenza di forze dell’ordine e di soccorsi, quasi a voler dire ‘salvaguardiamo solo la città turistica’”.

Il governo marocchino, a oggi, ha accettato gli aiuti di soli quattro Paesi “amici” – Spagna, Regno Unito, Qatar ed Emirati Arabi Uniti – e la decisione ha suscitato molte critiche. Rabat giustifica la propria decisione facendo riferimento a una “valutazione precisa” dei bisogni considerando che “la mancanza di coordinamento in tali situazioni potrebbe essere controproducente”. Una fonte diplomatica marocchina ha precisato ai media che il Paese arabo sta seguendo un “approccio responsabile, rigoroso ed efficace” per gestire le richieste di sostegno internazionale, collegandole ai bisogni che si presentano sul campo. “Una volta individuata la necessità, comunichiamo con coloro che hanno fatto l’offerta corrispondente a quella necessità per dire loro di fornire quell’aiuto” ha poi puntualizzato. In Germania una squadra di 50 soccorritori è stata organizzata ed era pronta per la partenza dall’aeroporto di Colonia-Bonn, ma non avendo istruzioni i soccorritori sono stati rimandati a casa in attesa di chiarimenti con il governo di Rabat.

Molti però criticano soprattutto il ritardo nei soccorsi, sottolineando che la prima riunione d’emergenza del governo si è tenuta solo dopo 16 ore dal terremoto, in attesa del ritorno del re Mohammed VI dal suo soggiorno in Francia. Il giornalista Omar Brouksy spiega a Le Monde che questa immobilità è dovuta a “una regola non scritta, ma applicata rigorosamente, che vuole che nessun funzionario parli o si muova prima del sovrano”. “Alla fine, nel Paese non si fa nulla con il via libera del palazzo. Così tanto tempo è stato perso perché il re non era fisicamente lì”, ha spiegato invece al Guardian Samia Errazzouki, esperta di storia e governo del Marocco presso l’Università di Stanford in California, aggiungendo che “c’è una nube di opacità che circonda le comunicazioni e questo diventa un ostacolo alla capacità dello Stato di portare a termine efficacemente le operazioni di emergenza. Ogni secondo conta in questi momenti, ogni minuto necessario per ottenere l’approvazione, per ricontrollare tutti questi passaggi noiosi e dispendiosi in termini di tempo: le persone muoiono. Si sarebbero potute salvare delle vite”. Errazzouki conclude infine che “ovviamente non possiamo prevedere i terremoti e la perdita di vite umane è purtroppo inevitabile con qualcosa di questa portata. Ma ciò che può essere controllato è il modo in cui rispondiamo e come lo affrontiamo. Ci vuole una crisi, un disastro come questo, per far luce sulla realtà quotidiana delle persone che vivono ai margini”.

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