I delfini sono resi inseparabili dalle cicatrici identiche che si portano addosso, e anche noi fondiamo comunità e identità sulle nostre ferite. Come la ritina, estintasi appena ventisette anni dopo il primo avvistamento da parte delle navi colonialiste, innumerevoli esistenze umane non sono sopravvissute alla tratta atlantica degli schiavi, e generazioni di afrodiscendenti piangono il lutto delle vite perdute dei loro antenati. I cuccioli di foca non hanno idea di possedere polmoni portentosi finché la madre non li spinge in acqua costringendoli all’apnea, e anche noi a volte scopriamo in modo traumatico qual è la portata del nostro respiro. Anche noi, come le creature acquatiche, possiamo imparare a inannegare. Alexis Pauline Gumbs osserva i mammiferi marini e traduce per noi la loro saggezza, facendo emergere le lezioni preziose che possono insegnarci: pratiche queer, sovversive, compassionevoli, trasformative. Il risultato è un lungo, commovente inno alla bellezza e alla potenza di queste creature sommerse. “Undrowned. Lezioni di femminismo nero dai mammiferi marini” (Timeo edizioni) è un’opera ibrida che confonde i generi mescolando lingua poetica e osservazione naturalistica, resoconto storico e visione utopica, spiritualità e pratiche del femminismo Nero. E, soprattutto, un manuale di sopravvivenza in cui le pratiche naturali si fanno metafora e svelano un nuovo approccio, poetico e politico, per cercare la nostra comunità in ciò che è nascosto, sommerso, scuro e sacro, ed esplorare profondità di cui non sospettavamo l’esistenza.
“Undrowned” sarà presentato alla libreria Anarres a Milano giovedì 14 settembre (ore 19): saranno presenti le traduttrici Mariam Camilla Rechchad e Mackda Ghebremariam Tesfaù, insieme al collettivo Kirykou. Quello che segue è un estratto dell’opera.
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ASCOLTA
Come possiamo ascoltare attraverso la specie, attraverso l’estinzione e la sofferenza? Come può l’ecolocalizzazione – la pratica che molte creature marine utilizzano per navigare nel mondo attraverso suoni riflessi – cambiare la nostra idea di «visione» e di azione visionaria? I social media sono già una tecnologia del riflesso? In cui lanciamo qualcosa, là fuori, e vediamo che cosa ritorna?
È qui che ha inizio la nostra comunione trans-specie, con l’apertura di uno spazio in cui elevare la pratica dell’ascolto al di sopra della pratica del mostrare, del dimostrare, del prendere parola. L’ascolto non riguarda solo ciò che normativamente riconduciamo al senso dell’udito. L’ascolto è una risorsa trasformativa e rivoluzionaria, che richiede calma e sintonizzazione.
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Tanto tempo fa, nel mare di Bering viveva una creatura marina gigante che pesava ventitré tonnellate. L’Hydrodamalis gigas, grande almeno tre volte i lamantini odierni, ha nuotato libera e felice fino al 1741, quando fu «scoperta» da uno zoologo tedesco. In soli ventisette anni l’intera specie si estinse, assassinata dalle spedizioni europee a caccia di manto e pelle di foca.
Perciò lei sa quello che anche noi sappiamo: è pericoloso essere scoperte.
Ventisette anni. Fra gli esseri umani occidentali chi è che non è riuscito a resistere più di ventisette anni? Jimi Hendrix, Jean-Michel Basquiat, anche Amy Winehouse, e Kurt Cobain. Ventisette anni. Così poco tempo. Come possiamo vivere il lutto e sopravvivere alla violenza dell’essere scoperte? Com’è possibile che il capitalismo riesca a distruggere così in fretta il frutto di miliardi di anni di evoluzione?
Che cosa sappiamo di questa mammifera subungulata, imparentata con gli elefanti e gli oritteropi?
Le hanno dato la caccia, per il suo grasso. Dicono che non sapesse cantare. L’unico suono era il suo respiro, ma riusciva a sentire a miglia e miglia e miglia di distanza. Una perdita enorme per l’ascolto. Come possiamo onorare l’archivio del tuo respiro?
Secondo alcuni la tua morte è stata solo un caso – ti sei ritrovata proprio nel mezzo della rotta prediletta di cacciatori di foche e commercianti di pelli tra Russia e Nord America. Quei ventisette anni sono stati una corsa all’oro, alimentata dal desiderio di cappelli e cappotti di pelliccia degli europei più raffinati. Una moda innescata dalla colonizzazione del Nord America: una riserva di pelli che si riteneva inesauribile. Viaggiavano per raccogliere pelli e manti di foca. E nel corso dei loro viaggi vi hanno uccise e mangiate. È forse una consolazione per qualcuno? Un sollievo per la coscienza? Che la tua estinzione – la prima estinzione attestata di una creatura marina a opera dell’uomo – sia stata un effetto collaterale della ricerca di altre morti?
Ruvida sirena, che cosa ci insegni sul respiro? Maestosa erbivora, cosa possiamo fare ora che il nostro ascolto è tanto più debole del tuo? Sei molto più che la semplice prova della letalità di un mondo in cu si vendono cara la tua pelle. Sei molto più che l’ennesimo monumento alle impietose conseguenze delle spedizioni europee. Molto più di un’accusa alla crudeltà. Molto più del folle, impositivo stile di vita che sta alterando il pianeta, in fretta, senza riguardo, per sempre. Molto più della fame mortale e insaziabile che non vuole nutrirsi ma divorare. Quella fame ti è sopravvissuta. Sento che dà la caccia anche me.
Cosa posso fare per onorarti ora che è troppo tardi?
Ti onorerei con la ruvidità della mia pelle, lo spessore dei miei confini, il calore del mio grasso. Ti onorerei con la mia calma e il mio respiro, il mio ascolto, sempre più esteso sempre più profondo. Ti onorerei con l’aggraziata, contemplativa lentezza dei miei movimenti. Cercherei di essere come te anche se dicono che sia fuori moda. Ti ricorderò. Non col nome (possessivo) dell’uomo che dicono ti abbia «scoperta», dopo generazioni di rapporti con le popolazioni indigene.
Ecco cosa dirò. C’era una volta un’enorme nuotatrice silenziosa, un’ascoltatrice erbivora dalla pelle setolosa, una creatura mammifera grassa e aggraziata. E poi tacerò, così che possa ascoltare il tuo respiro. E poi respirerò a mia volta, e tu mi ricorderai di non aver fretta. E il tempo in me tacerà. E allora potremo ascoltare davvero.
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