A Fca prima, e a Stellantis dopo, le auto elettriche non sono mai piaciute molto. Spesso celebrato come un formidabile manager visionario Sergio Marchionne scommise su un flop della nuova motorizzazione. L’a.d. del gruppo sorto dalla fusione con i francesi di Psa, Carlos Tavares, non perde occasione per esprimere la sua contrarietà alle scelte di politica ambientale adottate dall’Europa. Indipendentemente dai torti e dalle ragioni, il risultato è che il gruppo è rimasto indietro rispetto a concorrenti che si sono mossi prima e con più decisione verso l’elettrico. La Cina avanza impetuosa, da poco ha superato il Giappone come primo esportatore al mondo di quattroruote, per lo più elettriche. A mo’ di smacco il colosso cinese Byd apre a Torino uno dei cinque showroom italiani di auto elettriche. Nel 2023 tra le 10 vetture elettriche più vendute in Europa la casa italo francese piazza solo, al settimo posto, la 500e. Peraltro l’unica vettura tra le top ten che sta perdendo terreno rispetto all’anno prima. Ci si muove quindi di rincorsa sfruttando i copiosi investimenti pubblici messi a disposizione dai governi, soprattutto quelli più ricchi. E si cerca anche di dilatare i tempi della transizione.

Si va quindi un po’ oltre considerazioni prettamente scientifiche quando Stellantis e Aramco, il colosso petrolifero saudita, decidono di condurre insieme studi per provare a dimostrare i benefici ambientali che avrebbe un, molto ipotetico, massiccio utilizzo degli e-fuel. Aramco è anche la seconda azienda al mondo per emissioni di Co2, con una quota sul totale del 4,5%. Secondo le simulazioni l’utilizzo di e-fuel in tutti i 28 milioni di veicoli della casa automobilistica in circolazione in Europa, consentirebbe di ridurre le emissioni di Co2 di 400 milioni di tonnellate tra il 2025 e il 2050. E, particolare non secondario, questi carburanti potrebbero essere impiegati nelle auto realizzate da Stellantis dal 2014 in poi senza necessità di alcuna modifica. Si tratta però di un esercizio prettamente teorico poiché rimpiazzare il carburante tradizionale per quasi 30 milioni di auto richiederebbe di immettere sul mercato una gigantesca quantità di efuel con un impiego di energia per la produzione colossale.

Come ricorda il think tank Ecco,La produzione industriale di un litro di syndiesel con tecnologia Fischer-Tropsch, la più diffusa e consolidata, richiede fino a 0,5 kg di idrogeno e 3,6 kg di CO2, per un bilancio totale di consumi elettrici stimati in 25-28 kWh, quattro volte il consumo medio giornaliero di elettricità di una famiglia italiana. Messo in un’auto a combustione interna tradizionale, un litro di syndiesel consente di percorrere meno di 20 km, mentre con la stessa quantità di elettricità finale necessaria per la sua produzione una Fiat 500 elettrica ne percorrerebbe circa 200″. Il dispendio energetico ne rende il costo proibitivo (almeno 10 euro al litro) e in prospettiva ne destina l’utilizzo ai soli settori di nicchia come le auto sportive che non vogliono rinunciare alla motorizzazione tradizionale. Certo, allargando la scala della produzione i prezzi potrebbero scendere ma, secondo diversi esperti, mai abbastanza per raggiungere quelli dei carburanti tradizionali. Gli e-fuel hanno però il vantaggio di poter essere mischiati con gasolio e benzina normali, ridimensionando la questione economica ma attenuando in questo modo i benefici ambientali su cui non mancano comunque alcune perplessità.

Il meccanismo che rende gli e-fuel interessanti da un punto di vista ambientale è che il saldo in termini di emissioni di Co2 è prossimo allo zero. Purché si rispettino determinate condizioni. Gli e-fuel non derivano dal petrolio ma da idrogeno verde, ricavato cioè dall’acqua tramite elettrolizzatori (separano l’ossigeno dall’idrogeno). Per questo procedimento serve, come si diceva, tanta energia, quindi il processo è efficace se questa energia arriva solo da fonti rinnovabili. L’idrogeno viene poi addizionato di Co2 che deve essere “catturata” in atmosfera. La successiva combustione, durante l’utilizzo nel motore, causerà l’emissione di una quantità di anidride carbonica solo di poco superiore a quella prima sottratta dall’atmosfera. Tuttavia la combustione comporta l’emissione anche di altri gas inquinanti come particolati e gli ossidi di azoto.

Lo studio Aramco-Stellantis, verosimilmente, servirà come munizione per una vigorosa campagna di comunicazione e lobbying a favore di incentivi per questi carburanti. Su pressione della Germania, l’Unione europea ha già incluso gli e-fuel tra quelli utilizzabili dopo il 2035 ma, a questi costi, la soluzione resta per lo più teorica. Negli Stati Uniti l’amministrazione Biden con il suo Reduction Inflaction Act ha impresso una decisa sterzata verso l’elettrico sebbene preveda anche agevolazioni fiscali per la produzione di carburanti alternativi. Nonostante non preveda l’impiego di petrolio, il business degli e-fuel piace molto alle grandi compagnie del greggio. ExxonMobil, Gulf, Eni, Repsol e, appunto, Aramco, stanno investendo nel settore. Le compagnie continuano ad investire massicciamente nelle fonti fossili con cui stanno facendo utili da favola ma cercano di salvare la faccia presentando strategie di decarbonizzazione di cui anche la produzione di e-fuel fa parte. Senza contare che questi carburanti sono destinati ad allungare la permanenza sulle strade dei motori endotermici e dunque ad assicurare consumi di benzina e gasolio tradizionali per molti anni a venire.

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