Scuola

Svezia, a scuola più libri e meno pc. Gli esperti italiani: “L’infanzia non sia sopraffatta dalla tecnologia”

L’inizio dell’anno scolastico in Svezia parte con una novità: sui banchi gli studenti hanno trovato i sussidiari al posto dei tablet che avevano usato fino a qualche mese fa. La scelta è della nuovo ministro dell’Istruzione, Carlotta Edholm, alla luce dei dati Pirls (Progress in International Reading Literacy Study) del 2021 che hanno mostrato la diminuzione della capacità di lettura degli allievi svedesi passando da 555 punti nel 2016 a 544 punti.

Nello scorso mese di marzo – secondo quanto riporta “Il Post” – il nuovo governo aveva stanziato 685 milioni di corone (circa 60 milioni di euro) per l’acquisto di libri cartacei per le scuole e annunciato che un altro miliardo di corone (circa 85 milioni di euro) sarebbe stato speso fra il 2024 e il 2025 per riportare libri stampati all’interno degli istituti. Non solo. Edholm ha già in testa di attuare una vera e propria eliminazione dei device nelle classi di bambini sotto ai sei anni.

Una vera e propria rivoluzione. “Gli studenti svedesi hanno bisogno di più libri di testo e di meno computer”, ha detto il ministro. Una posizione, quella della politica in carica da undici mesi nella coalizione di centrodestra, condivisa da tutti i maggiori esperti italiani che si occupano di pedagogia e di tecnologia. Nessuno punta il dito contro l’appello della Edholm ma c’è chi considera possa essere “una lezione valida anche per l’Italia”.

Gli esperti, infatti, concordano nel dire che siano necessari entrambi gli strumenti, il libro e il digitale. Alberto Oliverio, medico e biologo italiano, fra i maggiori studiosi di psicobiologia e neuroscienze, non ha dubbi: “Quanto più precoce è l’uso dei device tanto più hanno difficoltà nel prestare attenzione. Quei ragazzi che, al contrario, hanno usano più tardi il computer ne risentono meno. Tutto il mondo in cui sono immersi è accelerato, penso persino agli spot televisivi. Iniziare a scrivere con carta e penna esercitando la motricità, l’attenzione è una strategia migliore del pigiare le dita su una tastiera”.

Oliverio, fa riferimento non solo al dato svedese: “E’ appena uscita una ricerca americana che concorda sui rischi dell’uso precoce del digitale. Non servono allarmismi: è chiaro che tutti useranno ChatGpt ma c’è un’età per iniziare ogni cosa. L’infanzia non deve essere sopraffatta dalla tecnologia”. D’altro canto in Svezia le affermazioni di Edholm sono supportate anche dagli studi del Karolinska Institutet che affermano come gli strumenti digitali possono compromettere l’apprendimento degli studenti, suggerendo un ritorno a metodi d’insegnamento tradizionali e affidabili.

“Dopo l’ubriacatura per cui tutto doveva essere digitale – spiega al “Fatto Quotidiano.itRaffaele Mantegazza, insegnante di Scienze pedagogiche al Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Milano- Bicocca – si tratta di non escludere nulla, di non buttare via le competenze 2.0 ma di proporre anche altre strade. A scuola provino anche a scrivere a mano, a prendere appunti”.

Mantegazza dal suo fronte sa come alcune competenze della lettura e della scrittura non vengano date dall’uso digitale: “La logica dello scroll, porta ad una perdita di approfondimento. Oggi un video di trenta secondi è lungo. E’ assurdo. Ecco perché abbiamo bisogno anche della pagina del libro che permette di andare più in profondità”.

A studiare il fenomeno da sempre è anche Paolo Ferri, docente di tecnologie didattiche e teoria e tecnica dei nuovi media all‘Università Bicocca di Milano, che ci invita a leggere il caso Svezia nella chiave proposta da Maryanne Wolf in “Proust e il calamaro. Storia e scienza del cervello che legge”: “L’autrice di questo testo sostiene che sia necessaria sia la lettura digitale sia quella analogica. La costruzione dello spazio interiore è diversa a seconda dello strumento che usi. Dopo il bagno digitale si tratta di capirne vantaggi e svantaggi. Non illudiamoci: per arrivare a processare informazioni più veloci bisogna avere avuto un’alfabetizzazione testuale. Se il cellulare diventa il principale strumento di accesso alle informazioni è chiaro che siamo di fronte ad una catastrofe educativa”.