“Con Toto e Lewis come produttori esecutivi, sono sicuro che noi saremo dipinti come i cattivi”. Parole del team principal Red Bull Christian Horner in merito al film in lavorazione sulla Formula 1, una mega produzione hollywoodiana da 140 milioni di dollari di budget con Brad Pitt e Damson Idris quali attori principali e il team Mercedes nel ruolo di co-produttore e consulente tecnico. La Red Bull oggi rappresenta il lato oscuro, per usare una metafora cara ai fan della saga di Star Wars, ma è comunque meno buio rispetto a quando le parti dell’impero toccavano alla Mercedes (esempio: oggi il tempo medio dei distacchi inflitti in gara al secondo classificato dalle auto Red Bull si attesta sui 18.47 secondi, superiore ai 13.88 della passata stagione ma lontano dai 33.78 realizzati dalla casa tedesca nel 2014). Una delle poche speranze rimaste agli avversari per non vedere la scuderia dell’energy drink completare l’en plein di successi è rappresentata dalla gara di domenica a Singapore. Il circuito più difficile e stressante, per tipologia di tracciato, condizioni climatiche e ambientali, di tutto il Mondiale.
Marina Bay piace ai piloti per la sfida che rappresenta. Rispetto ad altri circuiti cittadini, già di per sé mentalmente impegnativi e faticosi, nonostante le basse velocità, amplifica a dismisura la richiesta di massima concentrazione a causa dell’elevato numero di curve (23, un primato nel Mondiale, anche se per questa edizione sono state ridotte per i lavori di riqualificazione della Float area nella città bassa, dove sorgerà un nuovo spazio polivalente chiamato NS Square) e la mancanza di veri rettilinei. Senza considerare le sollecitazioni a cui sono sottoposti i piloti, costretti a uno sforzo per mantenere la stabilità della vettura “doppio rispetto alla quantità di energia richiesta per un singolo giro a Montecarlo” – così l’ex pilota Caterham e Sauber Marcus Ericsson. Inoltre, a differenza di altri circuiti cittadini quali Baku e Jeddah, quella di Singapore è una pista lenta, proprio per la sua struttura. Nel 2019 Charles Leclerc fece una pole 8 secondi meno veloce rispetto a quella ottenuta da Sergio Perez a Jeddah, nonostante quest’ultimo circuito sia più lungo di un chilometro. A Singapore spesso si sfiorano le due ore di gara.
Tutto ciò avviene immersi in un clima tropicale con temperature attorno ai 30 gradi alle 8 di sera e un’umidità dell’80%. Lo scorso anno Carlos Sainz postò un video su Instagram nel quale si allenava con una cyclette posizionata in una sauna per abituarsi alle condizioni che avrebbe trovato nel cockpit della sua Ferrari durante la gara. Altri piloti hanno optato per l’aggiunta di ulteriori strati di abbigliamento durante gli allenamenti di routine, o semplicemente di rimanere seduti in una sauna a temperature molto elevate per acclimatare al meglio il proprio corpo. Secondo Daniel Ricciardo “è l’unica gara della stagione in cui apri la visiera per far entrare un po’ di aria fresca e desideri subito non averlo fatto perché fuori fa più caldo. Durante il giro di riscaldamento, le bevande refrigerate nella tua bottiglia hanno la temperatura di una tazza di tè appena versata”.
Una ulteriore sfida per i piloti è rappresentata dall’adattamento al fuso orario, più complicato rispetto ad altre gare extra-continentali (si parla ovviamente di Europa, dove risiedono tutti i corridori) in quanto Singapore si svolge in notturna. L’approccio migliore è mantenere i fusi orari europei, ovvero andare a dormire circa alle 6 di mattina e alzarsi nel primo pomeriggio. I team effettuano preparativi speciali per Marina Bay, assicurandosi che gli hotel tengano conto delle abitudini di sonno non convenzionali dei loro clienti. Luke Bennett, medico della Mercedes, afferma che “esistono stress fisiologici e di sonno davvero unici legati all’evento. In teoria si svolge secondo l’orario europeo. Però c’è tutta questa illuminazione artificiale molto forte; ci sono risvegli a metà pomeriggio, con colazioni che diventano cene; ci sono un paio di giorni in cui ci si corica dopo l’alba. Quindi non è così semplice”. Proprio in vista di un tour de force come quello di Singapore, seguito il week-end successivo dal Gran Premio del Giappone, la Mercedes ha attivato una partnership con Eight Sleep, azienda i cui prodotti si concentrano sull’influenza della temperatura sul sonno.
Considerato un simile quadro d’insieme, non stupisce che il Gran Premio di Singapore, da quando è stato reintrodotto nel 2008, non sia mai stato concluso senza almeno un’entrata in pista della safety car, che in 13 edizioni è intervenuta 23 volte. Tanti i big protagonisti di incidenti a Marina Bay, da Michael Schumacher a Sebastian Vettel fino a Lewis Hamilton e Max Verstappen, con quest’ultimo che a Singapore non ha mai vinto. Schumi, nella sua non brillantissima esperienza di ritorno in Formula 1 con la Mercedes, tra il 2010 e il 2012 collezionò tre scontri, l’ultimo dei quali, un tamponamento a Jean-Eric Vergne della Toro Rosso, gli costò una penalità di dieci posizioni nella griglia di partenza del GP successivo. Verstappen nel 2017 finì schiacciato nel sandwich ferrarista Vettel-Raikkonen subito dopo la partenza, per una collisione che costò cara anche al tedesco, partito in pole e in piena lotta per il Mondiale (poi perso) con Hamilton. Lo scorso anno l’inglese è finito a muro nel tentativo di restare in scia a Sainz, mentre la Red Bull si è resa protagonista del pasticcio con il carburante, presente in quantità insufficiente nella macchina di Verstappen per permettergli di lottare in qualifica per la pole. L’olandese chiuderà la gara al settimo posto.
Singapore però è anche il luogo del famigerato Crashgate, ancora oggi attuale per la causa intentata da Felipe Massa contro la Fia per vedersi assegnato il titolo del 2008, perso dall’allora ferrarista all’ultima curva dell’ultima gara (che si disputò tre gran premi dopo in Brasile) contro la McLaren di Hamilton. Quell’anno a Singapore vinse Fernando Alonso su Renault, favorito però dalla strategia di Pat Symonds e Flavio Briatore, rispettivamente direttore tecnico e amministratore delegato del team francese, che chiesero deliberatamente all’altro pilota della scuderia, Nelson Piquet jr., di andare a sbattere per far entrare la safety car e favorire così il compagno, fresco di sosta ai box. Alonso vinse la gara. L’anno successiva un’indagine della Federazione ha portato alla sospensione di Briatore a tempo indeterminato e alla squalifica di Symonds per cinque anni. Sanzioni che in seguito entrambi hanno patteggiato con la Fia. Definito dal sito Motorsport uno dei più grandi imbrogli nella storia della Formula 1, a quindici anni di distanza il Crashgate continua a generare polemiche e veleni.