Alle 23.59 di giovedì i lavoratori di tre stabilimenti automobilistici del Midwest hanno deposto gli attrezzi, abbandonato le macchine e sono usciti dalle sale, organizzando i primi picchetti. È iniziata così l’azione sindacale più ambiziosa degli ultimi decenni, quella guidata da United Automobile Workers (U.A.W., il maggiore sindacato dei lavoratori dell’auto) contro Ford, General Motors e Stellantis, casa madre di Chrysler. Lo sciopero, il primo in cui le tre aziende di Detroit sono prese di mira in contemporanea, è scattato dopo mesi di negoziati che non hanno portato a un nuovo contratto. “Questo è il nostro momento decisivo”, ha detto in una diretta streaming giovedì sera Shawn Fain, il presidente di U.A.W entrato in carica quest’anno.
L’interruzione del lavoro riguarda al momento tre stabilimenti: uno della General Motors a Wentzville, Missouri; uno Stellantis a Toledo, Ohio; uno di assemblaggio Ford a Wayne, Michigan. Qui vengono prodotti alcuni dei veicoli più popolari delle “Big Three”. Dallo stabilimento di Wentzville escono la GMC Canyon e la Colorado; da quello Stellantis di Toledo la Jeep Gladiator e la Wrangler; da quello di Wayne il Ford Bronco e il pick-up Ranger. I lavoratori coinvolti sono per ora circa 12.700, una piccola parte dei circa 150mila iscritti al sindacato. “Ma siamo pronti ad allargare gli attacchi oltre gli obiettivi iniziali” ha detto Fain. La novità della protesta sta proprio nell’azione coordinata. In 88 anni di vita, il sindacato ha indetto diversi scioperi, ma sempre rivolti contro un singolo produttore di automobili; solo in casi isolati la sospensione del lavoro si è protratta per più settimane (per esempio, gli stabilimenti General Motors sono rimasti inattivi per 40 giorni nel 2019). In questo caso, appunto, si pensa di poter andare avanti con iniziative comuni anche per settimane: costringendo le case automobilistiche a fermare la produzione in altri siti e colpendo le economie locali nelle città industriali del Midwest.
Alcune stime sugli effetti possibili degli scioperi già ci sono. Sulla base dei rapporti finanziari di Stellantis, una settimana di interruzione del lavoro allo stabilimento Jeep di Toledo potrebbe ridurre le entrate di oltre 380 milioni di dollari. In particolare, la protesta bloccherebbe la produzione di circa 24mila veicoli a settimana. Gli effetti negativi potrebbero aggravarsi nel caso di un mancato accordo. Come ha spiegato un analista di Auto Forecast Solutions, Sam Fiorani, “nel caso i negoziati non vadano in una direzione ritenuta positiva dai sindacati, possiamo aspettarci allargamento degli scioperi nel giro di un paio di settimane”. United Automobile Workers controlla del resto un fondo da 825 milioni di dollari, che può essere utilizzato a risarcire i lavoratori in sciopero con 500 dollari a settimana per circa tre mesi.
Tra le ragioni che spiegano la protesta, ci sono i larghi profitti delle tre case automobilistiche, aumentati del 92%o dal 2013 al 2022. In dieci anni, il salario di un amministratore delegato è aumentato in media del 40% e oltre 65 miliardi di dollari sono stati divisi tra gli azionisti. Nella prima metà di quest’anno, Ford ha guadagnato 3,7 miliardi di dollari e General Motors 5 miliardi di dollari. Stellantis ha riportato profitti per oltre 11 miliardi. Senza contare gli incentivi governativi arrivati per la transizione ai veicoli elettrici. A questo importante aumento degli introiti, non ha fatto riscontro un aumento dei salari. Anzi. È stato calcolato che il valore delle retribuzioni orarie medie, se commisurata all’inflazione, è sceso del 19,3%. Di qui la richiesta di aumenti salariali del 40%, la fine di gabbie salariali per cui alcuni lavoratori sono pagati meno di altri (i nuovi assunti percepiscono solo 17 dollari all’ora), più giorni di ferie retribuite, miglioramenti alle pensioni e all’assistenza sanitaria, più attenzione alla sicurezza sul luogo di lavoro.
Da parte delle “Big Three” c’è stata sinora una quasi totale chiusura. General Motors si è per esempio detta disposta ad aumenti salariali del 20% e aggiustamenti al costo della vita, ma solo per i lavoratori con maggiore anzianità. Gli aumenti salariali per i nuovi assunti dovrebbero scattare solo dopo quattro anni di lavoro. Le aziende affermano che le richieste sindacali sono insostenibili, soprattutto in una fase di forti investimenti per la transizione ai veicoli elettrici. Gerald Johnson di General Motors ha spiegato che le richieste di U.A.W. costerebbero alla casa automobilistica 100 miliardi di dollari, “più del doppio del valore di tutta la General Motors”. E, secondo la dirigenza di Ford, accettare le proposte sindacali porterebbe a un raddoppio del costo del lavoro.
Sono obiezioni che il sindacato non è disposto ad accettare e che hanno portato appunto alla chiusura dei primi tre stabilimenti. Lo sciopero è seguito con attenzione a Washington. Giovedì Joe Biden ha parlato con Fain e con i leader delle case automobilistiche. Il presidente, ha spiegato un portavoce della Casa Bianca, non fa pressioni in un senso o nell’altro, ma incoraggia le parti a restare al tavolo dei negoziati e trovare un accordo “in modo che i lavoratori ottengano un giusto contratto”.
L’amministrazione Biden sta anche prendendo in considerazione aiuti di emergenza per le piccole aziende fornitrici delle case automobilistiche, che potrebbero subire pesanti contraccolpi da uno sciopero prolungato. La lotta dei lavoratori dell’automobile sta comunque riscuotendo ampie manifestazioni di sostegno da parte degli altri sindacati, dei movimenti ambientalisti e per i diritti. Il sindacato degli autotrasportatori, la International Brotherhood of Teamsters, si è impegnato a non sfondare i picchetti, sospendendo quindi le consegne dei veicoli di GM, Chrysler, Ford. La mobilitazione è guardata con favore dall’opinione pubblica. Secondo un sondaggio condotto da Gallup il 75% degli americani simpatizza con i lavoratori in sciopero.