Politica

Salvini, piccolo vademecum per ribattere alle sue caz**te sui migranti

Matteo Salvini ha ancora fiato per parlare di migranti. Ma a dire che 127.000 sbarchi (dati al 15 settembre) sono un fallimento del governo basterebbero le sue stesse parole, quando pretendeva le dimissioni dell’allora ministra Luciana Lamorgese perché nell’hotspot di Lampedusa c’erano mille persone, non settemila come l’altro ieri. Lo faceva anche Meloni, eppure nessuno ha ancora rassegnato dimissioni. Ma se il ruolo della premier le impedisce di scansare le critiche, il ministro dei Trasporti Matteo Salvini e i suoi hanno la faccia di smarcarsi come non fossero al governo. Salvini addirittura rilancia: “Non escludo di usare la Marina Militare”. Per cosa non s’è capito e a meno di non volere una crisi di maggioranza è naturale credere che stesse parlando dei trasferimenti dei migranti da Lampedusa ad altri porti siciliani, non certo di navi pronte a fermare i barchini in mare aperto.

Dice poi che serve tornare ai decreti sicurezza e che se l’Europa “assente, lontana, distratta, ignorante e sorda” ci volta le spalle, allora le frontiere le difenderemo da soli. E visto che i sondaggi lo danno in calo la spara ancora più grossa, tanto che gli sbarchi diventano “una dichiarazione di guerra all’Italia“. Da ultimo un pensiero alla Germania, che “finanzia le ong che portano i migranti a Lampedusa”. Per quanti concordano che anche in un Paese come il nostro debba esistere un limite alle cazzate, ecco un piccolo vademecum per smentirle e chissà, per aiutare a rinsavire quanti ancora danno retta a uno come Matteo Salvini.

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Quando parla di Lampedusa al collasso gli va chiesto come mai nel 2011 delle primavere arabe e così negli anni record 2014, 2015 e 2016 sull’isola sbarcarono meno migranti di quanti non se ne vedono quest’anno. Sa benissimo che l’attuale governo, a partire dal suo ministero, non ha predisposto un sistema di soccorso in grado anticipare le operazioni e distribuire le persone nei porti siciliani più grandi e attrezzati. Le 7.000 persone arrivate a Lampedusa potevano e dovevano essere evitate: siete incapaci o lo avete fatto per avere un’occasione di criticare Palazzo Chigi?

Quando critica la Germania per aver sospeso la ricollocazione dei richiedenti dall’Italia basta citare i dati ufficiali. In termini assoluti, il Paese più esposto alle rotte migratorie che passano dall’Italia è proprio la Germania. Nel primi sei mesi dell’anno le domande d’asilo presentate per la prima volta sono state 154.677 in Germania, il 30% delle 519mila richieste totali in Europa, aumentate del 28% rispetto ai primi sei mesi del 2022. Dopo c’è la Spagna col 17%, la Francia col 16% e infine arriva l’Italia col 12% e 62.000 domande d’asilo. No, non è che a Berlino c’è il mare, ma come dichiara il 70% delle persone arrivate in Friuli dalla rotta balcanica, per i più la destinazione finale non è l’Italia. Lo studioso delle migrazioni Gianfranco Schiavone ha fatto due conti: tra sbarchi e arrivi via terra nel 2022 sono giunte circa 125.000 persone, ma le domande d’asilo presentate in Italia nel corso dell’anno sono state 77.147. Che fine hanno fatto gli altri? Almeno una parte ha fatto domanda in Germania, dove l’anno scorso le richieste d’asilo sono state 217.735. Oppure in Francia (137mila), Austria (109mila) e in tanti altri Stati membri che rispetto ai loro abitanti hanno un numero di richieste superiore al nostro. Nel 2022 la media Ue è di 1.973 istanze per milione di abitanti. Sopra la media sono Francia, Spagna e Germania, ma anche l’Austria con 12.000 richieste per milione di abitanti. E così tanti altri Stati membri. Non l’Italia, al 17esimo posto con un tasso di 1.308 richieste per milione di abitanti.

Quando accusa l’Europa di essere assente bisogna ricordargli due cose. Il pur debole meccanismo di relocation solidale che nell’ultimo anno ha visto mille trasferimenti dall’Italia alla Germania sui 3.500 concordati va sommato alle richieste d’asilo presentate in Germania, che sono superiori a quelle registrate in Italia sia in termini assoluti che relativamente alla popolazione. Al risultato che triplica i numeri italiani andrebbero tolte le persone che secondo le regole Ue (Dublino III) devono fare domanda d’asilo nel primo Paese europeo d’ingresso e se si sono spostate in altri Stati il Paese di primo ingresso ha l’obbligo di riprenderseli. Dall’inizio dell’anno la Germania ha chiesto il trasferimento di 10mila dublinanti, ma da dicembre l’Italia ha deciso di sospendere l’applicazione della regola e non ha ripreso nemmeno un richiedente. Insomma, pretendiamo che un Paese con 154mila richiedenti nei primi sei mesi dell’anno se ne prenda altri 3.500 quando noi disapplichiamo le regole e non riammettiamo nemmeno un solo richiedente. E tutto questo dall’alto delle nostre 62mila domande d’asilo, meno della metà di quelle registrate in Germania. Domanda a Salvini: chi vuol prendere in giro?

Il fedele ministro Matteo Piantedosi, già capo di Gabinetto quando al Viminale c’era Salvini, sostiene che il regolamento di Dublino e il principio che attribuisce al Paese Ue di primo ingresso la competenza delle domande d’asilo sono “obsoleti, iniqui e casuali”. Se tanti migranti non procedessero autonomamente verso altri Stati e l’Italia applicasse le regole, Salvini avrebbe qualcosa di cui parlare. Invece abbiamo visto che le cose stanno diversamente. Ma il punto è un altro: chi ha sempre ostacolato, al fianco di Paesi come Ungheria e Polonia, la riforma del regolamento di Dublino per introdurre una redistribuzione equa ma obbligatoria dei richiedenti e dei rifugiati che eviti la concentrazione dei grandi numeri in appena 5 o sei Paesi Ue? Proprio Matteo Salvini e la sua sodale, Giorgia Meloni, che ancora in questo governo sono tra i più strenui oppositori della ridistribuzione obbligatoria dei richiedenti asilo. Anche dalle soluzioni proposte dal Parlamento europeo, che nel nuovo Patto su migrazione e asilo vorrebbero introdurre quote obbligatorie, Salvini e Meloni si sono sempre sfilati, in linea coi Paesi di Visegrad che di solidarietà non vogliono nemmeno sentir parlare. Domanda: visto che ospitiamo meno richiedenti della media Ue, avete paura che un’equa distribuzione ci obblighi ad accoglierne altri?

A proposito di accoglienza: quando Salvini minaccia estremi rimedi perché “non possiamo accogliere mezzo continente africano”, a parte i numeri già citati sulle mete dei migranti (i primi a chiedere asilo da noi vengono da Bangladesh e Pakistan dove crisi climatica, povertà e tensioni politiche motivano i giovani a cercare un futuro altrove), a Salvini va ricordato come i suoi decreti sicurezza ma anche il cosiddetto decreto Cutro dell’attuale governo abbiano scientemente tenuto sottodimensionato il sistema d’accoglienza gestito dai Comuni con il terzo settore, la rete Sai, che sarebbe quello ordinario. Invece il governo decide di escludere i richiedenti dall’accoglienza diffusa per far scoppiare ancora una volta i centri straordinari (Cas), privi di molti servizi, male attrezzati e sovraffollati perché la gestione è emergenziale. Ormai la letteratura è vasta, ma anche amministratori locali di centrodestra hanno sperimentato la migliore efficacia dell’accoglienza diffusa, sia in termini di impatto sociale che di integrazione. Mentre pretendiamo un’equa distribuzione nei Paesi Ue, in Italia resta un tabù dire che ogni comune di una certa dimensione dovrebbe avere un progetto di accoglienza. Tralasciando i piccoli comuni, le 137mila persone attualmente ospitate dall’intero sistema di accoglienza potrebbero essere ospitate dagli oltre 741 comuni sopra i 15mila abitanti. Affidando alle grandi città la giusta quota, per lo più si tratterebbe di accogliere una decina di persone. Domanda a Salvini: se l’accoglienza diffusa riducesse la percezione della presenza straniera, quanti voti finireste per perdere?

– Da ultimo, proprio perché si tratta di numeri esigui, citiamo i pensieri che Salvini dedica alle ong “pagate dalla Germania per portare i migranti in Italia”. Ancora una volta, i numeri sulle richieste d’asilo bastano a smentire questa assurda teoria. Non solo: grazie al decreto Cutro, alle navi delle ong che operano nel Mediterraneo centrale vengono assegnati porti anche molto distanti come Livorno, Ancora, Ravenna. Un modo per dissuaderle dal soccorrere altre persone e chissà, per spingerle a incrociare altre barche in difficoltà e a incorrere, in caso di salvataggi multipli, nei fermi amministrativi comminati da prefetti o questori. La percentuale dei migranti sbarcati in Italia dalle navi delle ong non superava l’11% negli anni scorsi e quest’anno arriva appena al 5% del totale e nonostante molti soccorsi siano stati richiesti e coordinati dalle stesse autorità italiane. Insomma, alla luce degli sbarchi di quest’anno, il governo ha smentito una delle teorie alle quali Meloni e Salvini sono più affezionati, provando una volta per tutte che la presenza delle ong in mare non è un fattore di attrazione per le partenze dal Nord Africa.