Prendo spunto dalle parole del mio amico e collega Pietro che spesso negli anni mi ha detto: “Per vedere cosa fare e come comportarsi bisognerebbe guardare gli altri”. Io gli ho sempre risposto che è vero, ma a volte si sbaglia anche a copiare se non si copia bene! Per questo ho sempre pensato che studiare, approfondire e proporre sia meglio che copiare.

Guardarsi intorno non può che aiutare ma non deve servire a pensare, come spesso fanno gli italiani, di essere fortunati e adagiarsi sugli allori di tempi passati quando l’Italia era considerata una delle Nazioni al mondo con una assistenza assoluta: avevamo il secondo sistema sanitario più bello del mondo, dopo la Francia secondo l’Oms, fino al 2000. Oggi almeno il 60% dei fondi pubblici finisce in mano ai privati; più del 50% delle strutture che si occupano di malattie croniche sono private.

Ma negli altri stati?

E’ noto come, ad esempio, a Nairobi un tassista che porta un turista quasi “cerca” l’incidente per poter fare controlli al Pronto Soccorso con la carta di credito del passeggero! La privatizzazione della salute in Kenya rivelava le sue aberranti manifestazioni, incluso il fatto che anche partorire in ospedale comportava un costo che la maggior parte della popolazione non poteva permettersi per cui i parti difficili finivano male. Franciska Wanjiru parla della salma di sua madre come un ammasso di pietre, non di un corpo umano, trattenuta da due anni presso il Nairobi Women’s Hospital per il mancato pagamento delle spese ospedaliere. Il suo debito equivale a 43.000 dollari. Nel 2017 una donna si è vista trattenere il figlio appena nato per oltre tre mesi, perché incapace di pagare i 3000 dollari richiesti per il parto. Più di recente, nel marzo 2021, la Corte Suprema ha imposto al Nairobi Women’s Hospital un risarcimento di oltre 27.000 dollari a favore di Emmah Muthoni Njeri, illegalmente detenuta per oltre cinque mesi!

Tutti conosciamo perfettamente che negli Stati Uniti senza una carta di credito non si viene accettati, tanto meno nelle strutture sanitarie.

Ma in Europa?

Prendiamo la Germania che si appresta a varare una nuova riforma sanitaria che prevede un sistema di rimborso delle strutture ospedaliere basato sulla qualità, e non più sulla quantità delle prestazioni, e il potenziamento dell’attività ambulatoriale. Dividerà il sistema in tre livelli di ospedali per alta specializzazione, intermedia e quelli focalizzati solo dalle cure di base.

Anche in Germania il Covid ha evidenziato la carenza del sistema sanitario. In un report da poco pubblicato si dice che in Europa circa dodici medici gestiscono mille casi. La Germania è al terzultimo posto con otto medici e diciannove infermieri ogni mille casi, come dimostrano i dati, che si riferiscono all’anno 2019. Secondo i dati riportati nel Secondo Rapporto sul Sistema Sanitario Italiano realizzato da Enpam e Eurispes e che confronta l’Italia con altri Paesi europei, “in Germania, l’11% del Prodotto Interno Lordo (PIL) è destinato alla spesa sanitaria. Nel 2020, la spesa sanitaria pro capite ammontava a circa 3.760 euro, di cui 557,71 euro erano spese dirette dei pazienti (“out of pocket”). Anche se inferiore alla spesa sanitaria negli Stati Uniti (8.745 dollari), la spesa pro capite in Germania supera la media dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), che era di 3.484 dollari nel 2020. In confronto, l’Italia registrava una spesa pro capite di 2.522,52 euro, di cui 592,43 euro erano spese dirette dei pazienti, corrispondendo a meno del 70% della spesa tedesca”. L’85% della popolazione tedesca, pari a 81,8 milioni di cittadini, è iscritto a una delle 132 assicurazioni sociali “obbligatorie” conosciute come Krankenkassen. Queste sono assicurazioni “non profit” che presentano caratteristiche di strutture sia private sia pubbliche. Il finanziamento del sistema sanitario tedesco è principalmente basato sulle entrate delle assicurazioni sociali obbligatorie (57%) e delle assicurazioni private (9%), con il contributo di altre fonti secondarie. Lo Stato centrale non partecipa al finanziamento, alla gestione né alla proprietà delle strutture sanitarie.

Ma torniamo all’Italia. Il modello della sanità privata si diffonde a macchia d’olio. Il rispetto delle regole viene stracciato alle fondamenta. Così scopriamo da un blitz dei Nas, eseguito in estate in tutta Italia, che le liste d’attesa non vengono rispettate nel 29% dei casi. Denunciati 26 tra medici e infermieri. Scoperte 195 agende di prenotazione “bloccate” “al fine di consentire al personale di poter fruire delle ferie estive o svolgere indebitamente attività a pagamento”. Ebbene sì, il privato vince. Ovunque.

Quindi cosa potremmo fare?

Intanto riaprire l’accesso alla facoltà di medicina. I test selettivi sono assolutamente inutili. Ricordo come fosse oggi che nel corso di laurea che io ho seguito alla fine degli anni Settanta la selezione era naturale, strada facendo. Non occorrono test ai quali partecipano migliaia di giovani speranzosi magari copiandoli per la modica cifra di 20 euro su gruppi Telegram, come sembrerebbe sia successo quest’anno!

O, per rifondare dalle basi la medicina, costituire una facoltà apposita di medicina del territorio. Cinque anni, senza specializzazione e senza la possibilità di fare tutto ma con la certezza di essere vicini ai cittadini che hanno bisogno nel primo filtro, con assunzione diretta in reparti ospedalieri pubblici o privati accreditati. Faranno il vero primo Pronto Soccorso, deviando i casi realmente urgenti ai vari specialisti. Non avremo più anche nella urgenza, per carenza di personale o per voglia di spingere la salute e la malattia verso il lucro, codici di carte di credito al posto dei codici di necessità come questa estate calda ci ha fatto scoprire.

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