di Gianluca Pinto
Viviamo la nostra esistenza chiusi nel paradigma temporale del semestre di bilancio delle aziende in nome della produzione incessante e costante di denaro in più. In questi ‘bilanci’ – che regolano ogni aspetto della nostra vita, dagli aumenti di costi dei prodotti e dei servizi alle condizioni ambientali in cui ci troviamo – non c’è ovviamente traccia di voci inerenti a eventuali costi a ‘lungo termine’ come quelli ambientali e sociali.
Nonostante questo, capita spesso di ascoltare concetti come questo: “Dobbiamo essere noi consumatori cambiare le nostre abitudini…”.
Devo dire che è irritante, per essere moderato, questo assunto inspiegabilmente molto gettonato per cui la soluzione del problema ambientale dipenda da un cambio di comportamento consapevole dei cittadini.
Intanto siamo in queste condizioni proprio perché le abitudini dei consumatori vengono continuamente cambiate con bisogni e, soprattutto, necessità indotte e affini. Io negli anni ‘90 scrivevo a matita sul pentagramma, inviavo per posta il manoscritto all’editore e lui lo pubblicava. Nel ’99 l’editore mi comunicò il fatto che tutto dovesse essere fatto tramite computer, altrimenti non sarebbe più riuscito a stare sul mercato. Per poter lavorare ho dovuto acquistare il computer. Queste sono necessità imposte dal mercato (non ne faccio una questione di valore, ovviamente, ma solo fornisco il dato oggettivo), non vezzi di cattivi consumatori.
In più, da quarant’anni a questa parte ci è stato imposto, ogni singolo istante della nostra vita, il principio che si debba ‘consumare’ e non solo, che sia necessario consumare indiscriminatamente ogni giorno di più (e sempre peggio) ‘perché il PIL’, ‘perché il mercato’, ‘perché ‘il rilancio dei consumi’ (questo rilancio poi sembra non debba finire mai), e quindi produrre di più, con aumento dell’entropia ambientale. Sono i consumatori che si auto-educano in tutto questo e che si rifiutano di valutare i costi a lungo termine ambientali e sociali nell’ambito della cosiddetta ‘scienza economica’?
Questa tesi inoltre è resa quasi grottesca dal fatto che ‘sul mercato’ i prodotti meno inquinanti o i prodotti alimentari ‘rispettosi’ dell’ambiente (’bollini’ che si ottengono spesso con autocertificazione, s’intende, ma non apriamo questo capitolo) costano più dei prodotti inquinanti. Aggiungiamo anche che sono frequentissimi gli interventi in TV o sulle riviste o sul web in cui si afferma che è necessario cercare i prodotti giusti, acquistare prodotti di filiera corta e o pesce pescato invece che allevato.
Ma a chi si rivolgono questi? A famiglie benestanti (molto) che hanno tutto il tempo che desiderano per fare le ricerche e molto danaro da spendere? Glielo vanno a spiegare loro alle famiglie monoreddito o ai sottopagati sfruttati che non riescono a trovare il tempo per andare al bagno?
Sembra di essere ai tempi del personaggio di Paolo Hendel, Carcarlo Pravettoni, che sosteneva che i poveri sono stupidi perché vivono in case malsane, comprano robaccia e si nutrono male. Qui va a finire che diventa colpa tua (oltretutto dopo che ti hanno inculcato che il principio e il fine ultimo dell’uomo sia comprare) che sei povero e non puoi permetterti l’orata a 40 euro al chilo, se il mondo è un immondezzaio. Roba da matti.
Andiamo avanti: è prassi che tutti i provvedimenti che riguardano l’ambiente ricadano normalmente in modo sgraziato e sgradevole proprio su chi sta peggio. Faccio un esempio: la raccolta differenziata, che ha scaricato il costo della differenziazione sui cittadini, spesso a fronte di spensierati aumenti di tariffe. A questo si aggiunge che nei posti dove vige il porta a porta le famiglie devono dedicare abbondanti porzioni della casa ai bidoncini per la separazione dei materiali.
Chi se la passa economicamente bene non ha grossi problemi (in ogni caso incombenze in più), ma vogliamo chiedere come gli butta, per una volta almeno, non alla famiglia del Mulino Bianco, ma ad una famiglia monoreddito che vive in 40 metri quadrati? O a chi ha disabili gravi che hanno chili di pannoloni, traversine e altre amenità da smaltire al giorno?
Ma la dottrina del “È colpa tua e ti assumi le tue responsabilità” in Italia va anche oltre, come visto da qualche anno.
Non ci sono posti letto nelle terapie intensive durante la pandemia? La colpa è ‘solo’ (non ‘anche’) di chi non si è vaccinato che toglie spazio agli altri, mai delle privatizzazioni e dei conseguenti tagli alla sanità, che ci hanno privato di posti letto oltre che delle ‘strutture diffuse’ sul territorio degli ultimi 30 anni: meglio creare una bella spaccatura sociale, più semplice.
Sopraggiunge la siccità? La colpa è di chi tiene il rubinetto aperto quando si lava i denti, ci pare evidente: perché parlare del clima o delle coltivazioni monocoltura intensive, del costante inquinamento di corsi d’acqua o, più in piccolo, delle perdite in Italia del 40% delle reti idriche?
Ci sono le valanghe perché il clima è cambiato? La colpa è di chi è andato in montagna “che non si deve, è pericoloso”, ci mancherebbe!
Oggi si fa largo ricorso alla parola ‘libertà’ che ha assunto un valore assoluto, ideologico, persino bellico. Mi spiace molto doverlo ricordare, ma tutta questa libertà l’uomo non l’ha mai avuta. Non ha la libertà di vivere in eterno, ad esempio. Non ha la libertà di non ammalarsi mai (questo per ‘natura’). Non ha, inoltre, la libertà di tagliare la gola al vicino o di prendere a randellate ad mentula canis chi vuole (questo per il principio umano di regolazione dell’entropia sociale). Non sarebbe ora di ragionare su limitazioni di altre ‘libertà’ dannose, come quelle che hanno portato il genere umano sull’orlo dell’estinzione? Magari limitare la libertà di troppo pochi di arricchirsi troppo; limitare la libertà di ‘produrre troppo’ (con effetti sull’uso di energia e sull’impatto ambientale della nostra presenza su questo pianeta).
Non sarebbe il caso, insomma, di ragionare sulla limitazione della odierna totale libertà di devastare l’ambiente e ridurre sempre più in povertà il genere umano? (‘crisi ambientale’ e ‘povertà’ sono collegati ed hanno la stessa causa). Sarebbe anche ora, inoltre, di smetterla di strumentalizzare il concetto di ‘libertà’ per garantire la possibilità di troppo pochi di fare e disfare la vita di troppi (ad esempio agendo il mondo solo in funzione di profitto senza valutare null’altro) e di usare dolosamente questo concetto come equivalente a quelli di ‘liberismo’ e di ‘democrazia’, al fine di imporre l’idea che toccare il liberismo significhi toccare la democrazia (che funziona sulla base di ‘leggi’ e quindi su limitazioni della libertà di fare indiscriminatamente quello che ci pare) o toccare la libertà che, quella vera, è la libertà di tutti di vivere responsabilmente il nostro pianeta.