È un anniversario di sangue quello della morte di Mahsa Amini, la giovane di etnia curdo-iraniana morta mentre si trovava in custodia della polizia morale con l’accusa di aver indossato male il velo. I manifestanti sono scesi in strada per ricordare al regime che le proteste contro la repressione delle forze di sicurezza sono ancora vive, ma gli agenti hanno risposto sparando contro i manifestanti a Teheran. Alcuni sono stati arrestati nella capitale iraniana, nei pressi dell’Università di Teheran e di piazza Azadi, mentre gli agenti hanno impedito l’accesso ai cimiteri dove sono sepolti manifestanti uccisi negli scontri durante le dimostrazioni dello scorso anno. Intanto anche il padre di Mahsa Amini, Amjad Amini, è stato messo agli arresti domiciliari, fermato mentre lasciava la sua abitazione a Saqqez. Nei giorni scorsi, con l’avvicinarsi dell’anniversario della morte della figlia e delle proteste antigovernative che esplosero subito dopo, l’uomo era stato messo sotto sorveglianza e gli era stato chiesto di non tenere cerimonie per commemorare Mahsa.

“Nel giorno dell’anniversario dell’omicidio di Stato di Jina Mahsa Amini, suo padre Amjad Amini è stato arrestato dalle forze di repressione questa mattina mentre usciva dalla sua casa a Saqqez ed è tornato a casa sua ore dopo”, scrive Iran Human Rights, aggiungendo che secondo le informazioni in suo possesso “la casa della famiglia è attualmente circondata da forze militari e di sicurezza”. In un primo momento a dare la notizia del suo arresto era stata un’altra ong con sede in Norvegia, Hengaw, che si occupa in particolare di violazioni dei diritti umani nella regione del Kurdistan iraniano.

Intanto in varie città del Kurdistan iraniano sono in corso scioperi in segno di protesta e ricordo per la morte di Amini. In seguito a un appello lanciato da vari partiti politici e attivisti curdi, molti negozi hanno tenuto chiuso a Baneh, Kamyaran, Divandarreh, Sanandaj e Saqqez, la città di cui era originaria la ragazza simbolo delle proteste. In alcuni quartieri di Baneh, i cittadini hanno protestato creando ingorghi stradali, facendo rumore con il clacson dalle proprie auto e gridando slogan contro la Repubblica islamica. Un gruppo di donne è sceso in piazza anche a Karaj.

Nel Kurdistan iraniano le misure di sicurezza sono state rafforzate negli ultimi giorni per timore di proteste, visto che la morte della ragazza lo scorso anno ha provocato un’ondata di dimostrazioni antigovernative. Queste andarono avanti per mesi e furono duramente represse dalle forze dell’ordine. Secondo l’agenzia degli attivisti dei diritti umani iraniani Hrana, 551 persone hanno perso la vita negli scontri durante le proteste dello scorso anno, tra loro 68 minorenni. Furono circa 20 mila gli arrestati durante le rivolte dello scorso anno. Per sette manifestanti incarcerati è stata eseguita la pena capitale a cui erano stati condannati per la loro partecipazione.

Le proteste sono arrivate fin dentro le carceri iraniane. Almeno sette donne, detenute nella prigione di Evin a Teheran per motivi politici, hanno commemorato nel cortile del carcere Mahsa Amini bruciando il loro hijab in segno di protesta, tenuto un sit-in gridando lo slogan simbolo delle proteste dello scorso anno, “donna, vita, libertà”, e contestando la Repubblica islamica e la Guida suprema Ali Khamenei. “L’uccisione e l’esecuzione della pena capitale per alcuni giovani della nostra terra, come anche l’incarcerazione e la tortura di altri manifestanti sono ferite sui nostri corpi e sulle nostre anime ma d’altra parte sono anche le fiamme della speranza e il motivo per continuare la lotta fino alla vittoria”, si legge in un comunicato, pubblicato sui social media, da parte delle donne incarcerate a Evin che hanno manifestato: Narges Mohammadi, Sepideh Gholian, Azadeh Abedini, Golrokh Iraee, Shakila Monfared, Mahboubeh Rezai e Vida Rabbani.

Ma il pugno duro del regime si è accanito anche contro altri simboli delle rivolte. Come ad esempio la tomba di Nina Shakarami, la 16enne morta durante le proteste antigovernative dello scorso anno a Teheran e, secondo la famiglia e gli attivisti, uccisa dagli stessi agenti. Il suo luogo di riposo, sostengono, è stato profanato dalle forze di sicurezza: “Hanno danneggiato la tomba, colpito gli alberi circostanti e deturpato il luogo commemorativo con vernice nera. Inoltre, hanno bloccato tutte le strade che conducono al luogo”, ha affermato l’attivista Barbad Golshiri, citato dal portale dei dissidenti IranWire, parlando della tomba nel cimitero di Khorramabad, nella provincia del Lorestan, nell’ovest del Paese.

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