Nel dibattito scaturito a seguito del clamore suscitato dal libro scritto da un generale dell’esercito, è tornato in voga parlare delle libertà. Esponenti della destra hanno attaccato chi criticava lo scritto accampando il diritto della libertà di manifestazione del pensiero, diritto che sarebbe stato messo in dubbio da chi ha criticato quel testo. Va sottolineato che il diritto di pensiero va di pari passo con il diritto di critica di un altro pensiero, essendo anch’esso espressione di un pensiero altrettanto tutelabile.

La destra ha utilizzato l’art. 21 della Costituzione a supporto delle sue tesi. Va detto che nessuno mette in dubbio il “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. È la base indiscussa che sorregge tutte le democrazie occidentali, facendole distinguere dalle autocrazie, come per esempio la Russia di Putin. È un diritto che grazie ai social si è addirittura ampliato. Va rilevato però che la precondizione dell’articolo 21 è la possibilità per tutti di informarsi, è la possibilità che tutte le opinioni possano avere il giusto risalto. Chiunque può scrivere un articolo, però le possibilità di diffonderlo sono nulle senza l’utilizzo di un mezzo di comunicazione. La libertà quindi è connessa al pluralismo delle fonti di informazioni: nel nostro paese c’è il pluralismo delle fonti d’informazione? Gli spazi delle libertà si stanno pericolosamente chiudendo? Prendiamo a riferimento quanto accade nella televisione.

Iniziamo con l’occupazione della destra della Rai. Da segnalare il vulnus istituzionale grave che si è avuto quando il Governo ha fatto in modo di anticipare di un anno la scadenza dei vertici dell’azienda. Situazione che non si è verificata nemmeno con Berlusconi “imperante”. È seguita un’occupazione che non si è mai vista nella storia del servizio pubblico. Un’occupazione oltretutto basata non su cambi di idee e grammatiche televisive, ma su cambi avallati da una sorta di rivincita, come se i precedenti professionisti fossero colpevoli di chissà quali colpe. Ad una cultura televisiva non se ne sta sostituendo un’altra, ma semplicemente si sostituiscono le persone in base alla fedeltà: alla fine cambiano i conduttori ma i programmi rimangono gli stessi.

Sarà un autunno-inverno difficile per la Rai: per la prima volta dalla nascita dell’Auditel (anno 1984) Mediaset probabilmente supererà la Rai. Già adesso Raitre, la rete culturale per eccellenza, sta decrescendo (per salvare gli ascolti della prima serata si posticiperà la soap Un Posto al sole), mentre gli spazi che nei telegiornali vengono dati alla Presidente del consiglio sono debordanti, quasi imbarazzanti.

La Rai sta subendo colpi pesanti anche sugli aspetti gestionali. Gli affollamenti pubblicitari (cioè la quantità di spazi di pubblicità consentita) della Rai sono stati diminuiti e aumentati invece quelli delle tv commerciali (secondo indicazioni dell’Europa): per le tv commerciali si arriva complessivamente nella fascia oraria 06:00-24:00 a 216 minuti, per Rai a 64 minuti, cioè il 30% delle potenzialità del concorrente. Cosa significa ciò? La Rai sarà sempre più debole e sempre più subordinata alle scelte del Governo per la sua sopravvivenza (vedi la vicenda del canone). Ciò favorirà la crescita di Mediaset: ogni punto di share della Rai equivale a circa 20 milioni, e ogni punto perso da Rai si riversa sul mercato e una parte significativa su Mediaset. Insomma stiamo assistendo al ritorno a pieno regime (forse non era mai sparito) del vecchio “conflitto d’interessi”, quarant’anni di conflitto d’interessi, due generazioni cresciute in questo modo!

Notizia di questi giorni è la pressione di Mediaset sul Governo per ottenere vantaggi su un nuovo regolamento europeo sui media (Media Freedom Act) che disciplina, in particolare, le Big Tech. Il Web sta erodendo sempre più gli spazi della Tv classica proprio nel core business della Tv, la pubblicità. Va detto che il web gode di vantaggi extra per il fatto di operare senza regole. È corretto quindi, a tutela dei consumatori, che anche il nuovo settore sia disciplinato sul versante della trasparenza. È strano che sia Mediaset a farsi paladina della causa. Il gruppo ha evidentemente il badge per entrare a Palazzo Chigi sempre attivo.

In una recente intervista Bianca Berlinguer, dopo l’esordio del suo programma su Rete4, ha affermato che Mediaset “può garantirmi maggiore libertà della Rai, perché si avvertono molto meno le pressioni dei partiti”; Mediaset avrebbe meno ingerenze dei partiti rispetto alla Rai!

I dati sugli ascolti indicano che i due oligopolisti conquistano altri spazi (insieme detengono il 77% degli ascolti), e che Rai rischia di essere superata da Mediaset. Questo è lo stato delle libertà in Italia! Il mainstream, parola tanto di moda quanto vuota, alberga a destra!

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