Sabato 16 settembre, ore 15, Pomigliano-Juventus Women, prima giornata della stagione 2023/2024: la Serie A femminile – la nuova Serie A femminile, passata al professionismo rivendicato per anni con una battaglia di genere e festeggiato come rivoluzione per l’intero movimento – riparte praticamente “al buio”. A parte un big match a giornata che troverà spazio sulla Rai, le altre partite saranno trasmesse su Youtube dalla Federazione. Quasi fosse un torneo amatoriale. I diritti tv a pagamento sono rimasti invenduti: in Italia nessuno vuole il calcio femminile.
Se la Serie A maschile è alle prese con l’asta più difficile di sempre e offerte non all’altezza delle aspettative, la notizia è che, con le dovute proporzioni visto che qui parliamo di cifre infinitesimali, la Serie A femminile se la passa pure peggio. La gara gestita dalla FederCalcio (che dal 2018 ha portato sotto il suo controllo la Serie A) fin qui è stata un mezzo flop. Ottimo il risultato sul match in chiaro (aggiudicata dalla Rai per circa 300mila euro, meglio rispetto al passato e alla base d’asta), disastroso sul pay: nessuno si è fatto concretamente avanti per le altre quattro partite, tanto che ad oggi, inizio del campionato, non c’è un contratto chiuso. Una trattativa con Dazn esiste, però al massimo coprirebbe i costi di produzione, per non far ricadere anche quelli sui club. Nella migliore delle ipotesi, insomma, le squadre riceveranno po’ di visibilità ma non incasseranno nulla dai diritti. La Figc invece puntava a raccogliere quasi un milione (oltre alle spese). Se ne parla eventualmente da ottobre. Per il momento le gare andranno sul canale Youtube e sul sito della Federazione, che ha dovuto assegnarne la produzione in fretta e furia: il bando centralizzato, che con gli alti requisiti fissati ha tagliato fuori alcune aziende italiane, è stato vinto da Emg Media, guidata da Claudio Cavallotti, ex manager Infront la cui rete evidentemente continua a essere ben ramificata.
Di sicuro la congiuntura è sfavorevole e l’asta sta scontando due handicap pesanti. La durata annuale del contratto, voluta proprio dai club in funzione della nascente Lega professionisti femminile che gestirà i diritti dal prossimo anno (con un occhio magari al famoso canale della Lega, se mai dovesse nascere), che però disincentiva i broadcaster, interessati a investimenti a lungo termine. E poi la querelle sui diritti tv degli uomini: lo stallo, la tensione che si è creata fra pay-tv e club, che nella maggior parte dei casi sono gli stessi tra maschile e femminile, fa sì che in questo momento le emittenti non vogliano regalare niente ai presidenti. Il “ricatto” (ammesso che di ricatto si tratti) è possibile però solo perché il campionato femminile non ha alcun valore per le emittenti. Non porta ascolti e figuriamoci abbonati, a differenza ad esempio di una Serie C, che non costa troppo di più, ma garantisce bacini d’ascolto in piazze come Catania, Padova o Taranto, solo per citarne alcune. Infatti, a differenza della tv di Stato che ha la missione del servizio pubblico, i privati se ne sono tenuti alla larga senza rimpianti.
L’esito desolante del bando cozza con la retorica e le velleità che circondano il dibattito sul calcio femminile in Italia. Il movimento ha ottenuto (per certi ha preteso) il professionismo, sulla base delle rivendicazioni anche comprensibili delle atlete, però fatica a stare sul mercato. Il nuovo status ha coinciso con un inevitabile innalzamento dei costi, a cui corrisponde solo parzialmente un miglioramento dei ricavi e del prodotto. Quanto alla parità salariale, di cui invece si discute all’estero o in altri sport, è semplicemente un miraggio. La Federazione, insieme a pochi club, è oggi l’unico soggetto che crede e investe nel calcio femminile (e ci mancherebbe non lo facesse, è il suo compito); l’egida federale ha portato un po’ di attenzione e visibilità ma il contesto resta totalmente dilettantistico. Come dimostrato anche dagli ultimi Mondiali, fallimentari sul campo e sul divano: la Fifa si era pubblicamente lamentata delle offerte ricevute (minacciando addirittura di oscurare l’Italia), ma poi gli ascolti sono stati modesti, in linea con la media di rete. Se i diritti televisivi sono la principale fonte di introiti nel calcio moderno e la cartina di tornasole del valore di un movimento, questo è quello attuale del calcio femminile in Italia: un campionato ancora dilettantistico (solo 10 squadre, livello troppo disomogeneo), che nessuno è disposto a pagare per trasmettere in tv.