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Migranti, dai nuovi Cpr ai rimpatri: quello che non torna nella “linea dura” annunciata da Giorgia Meloni

Giorgia Meloni rompe il silenzio sul caos migranti e annuncia, con un videomessaggio, la linea dura del governo. In realtà questi annunci sembrano più fumo negli occhi che reali soluzioni: sia per il numero irrisorio di rimpatri che l’Italia riesce a effettuare che per la quantità di posti nei Cpr, totalmente distanti dai numeri degli sbarchi in Italia. Così mentre ritorna il tormentone del blocco navale (questa volta chiedendo all’Ue una “missione europea, anche navale se necessario”) la presidente del Consiglio presenta la sua ricetta e promette un giro di vite sui rimpatri. Due gli annunci chiave: potenziare i Centri di permanenza per i rimpatri e aumentare a 18 mesi il termine di trattenimento nelle stesse strutture. Grazie a questo, per la premier, chiunque entrerà illegalmente in Italia sarà “effettivamente trattenuto in queste strutture per tutto il tempo necessario alla definizione della sua eventuale richiesta di asilo e per la sua effettiva espulsione nel caso sia irregolare”. Ma ecco cosa non torna nella “linea dura” annunciata da Meloni.

Come funzionano i Cpr – I Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr), sono quelli che qualche anno fa si chiamavano Centri di identificazione ed espulsione (Cie), e sono nati come “luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione“. Cioè sono dei luoghi di detenzione per tutti coloro i quali entrano illegalmente in Italia e non hanno diritto all’asilo o alla protezione internazionale (per i quali, invece, è prevista la rete di accoglienza in attesa della definizione della domanda). Con il decreto Cutro, in realtà, è stata aperta la possibilità del trattenimento del richiedente asilo durante la procedura accelerata di esame della domanda di asilo presentata alla frontiera al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato.

I posti disponibili – Ma è possibile trattenere nei Cpr tutti i migranti che arrivano in Italia? Assolutamente no. Dal primo gennaio al 15 settembre sono sbarcati in Italia 127.207 migranti. E i posti nei Cpr in tutta Italia? Sono solo poco più di mille. Attualmente sono operativi solo 9 centri per i rimpatri e si trovano a Bari, Brindisi, Caltanissetta, Gradisca d’Isonzo, Macomer, Milano, Palazzo San Gervasio, Roma e Trapani. Il Cpr di Torino risulta chiuso dal 4 marzo 2023 dopo alcune rivolte. La loro capienza è di circa 1.100 unità, come viene fuori dai dati forniti dal Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale nella relazione al Parlamento. Non basterebbe neppure per trattenere i migranti a cui è stato sottoposto un ordine di rimpatrio, quindi i veri e propri irregolari. Guardando ai dati del 2022 (quando i numeri degli arrivi via mare erano molto inferiori agli attuali) su 105.129 migranti sbarcati, ci sono state 77.195 richieste di asilo. Quasi 28 mila dovevano essere quindi subito trattenuti nei Cpr per essere rimpatriati. E a loro andrebbero aggiunti i migranti che hanno visto rigettata la loro richiesta di protezione internazionale (nel 2022 il 53%). Rispetto ai dati del 2022, pertanto servirebbero almeno 70 mila posti nei Cpr, contro il migliaio attuale.

“Un Cpr in ogni regione” – È la stessa Meloni a fare presente nel video che i posti sono pochi, scaricando la colpa a chi l’ha preceduta: “Altri anni di governi immigrazionisti ci hanno consegnato una situazione per la quale i posti nei centri di permanenza per i rimpatri sono scandalosamente esigui“. Il governo però adesso intende potenziare le strutture. “Un Cpr in ogni regione“, hanno detto più volte gli esponenti dell’esecutivo (un’idea in realtà vecchia, mai concretizzata, ma già avuta dell’allora ministro Minniti). Per questo nell’ultima finanziaria sono stanziati 42,5 milioni di euro per i prossimi tre anni proprio per “l’ampliamento della rete dei Centri di permanenza per il rimpatrio”. Secondo quanto riportato sul rapporto “L’affar€ CPR” della Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili (CILD), nel triennio 2021-2023, le prefetture competenti hanno bandito gare d’appalto per la gestione dei Cpr presenti in Italia, complessivamente, “per 56 milioni di euro, da sommare al costo del personale di polizia e la manutenzione delle strutture”. Con i fondi stanziati, pertanto, il governo potrebbe raggiungere (forse) l’obiettivo di arrivare a poco più 2 mila posti. Ma anche se fossero in numero maggiore sarebbero comunque molto lontani dall’obiettivo sbandierato da Meloni di “trattenere tutti gli irregolari”.

L’aumento dei termini – E l’aumento a 18 mesi del termine massimo di trattenimento nei Cpr? Diminuirebbe il ricambio di migranti nei centri e renderebbe necessarie sempre più strutture. Il termine ha subito numerose modifiche nel corso degli anni. Era già a 18 mesi con Maroni ministro. Poi era stato diminuito a 180 giorni e nell’ottobre del 2020 era stato ridotto ulteriormente a 90 giorni, prorogabili di ulteriori 30. Nel decreto Cutro (all’articolo 10 bis) i 30 giorni di proroga erano stati aumentati a 45. Adesso sempre il governo Meloni riporta tutto a un massimo di 18 mesi, prolungando la presenza dei migranti nei Cpr. Nonostante i poco più di 1000 posti disponibili, nel 2022 sono stati trattenuti nei centri per il rimpatrio 6.383 migranti. E quanti sono stati realmente rimpatriati? Solo la metà: 3.154, principalmente in Tunisia (2.308), in Albania (58), in Egitto (329) e in Marocco (189). Gli altri hanno lasciato la struttura per diverse ragioni, come per “trattenimento non convalidato dall’Autorità giudiziaria” o perché “non identificati allo scadere dei termini”.

I rimpatri – Come spiega il Garante, in Italia “la percentuale di rimpatri non ha mai raggiunto il 60 percento delle persone ristrette anche per lungo tempo in tali strutture”. Guardando al quadro completo, in Italia solo il 13,2% dei migranti sottoposti ad ordine di rimpatrio sono stati effettivamente rimpatriati e, dal 2014, non ne sono mai state effettivamente rimpatriate più del 24% (dati di Openpolis relativi al 2020). Il problema sta negli accordi bilaterali tra l’Italia e i Paesi di provenienza, che non li firmano o non vogliono aumentare le quote. Nel 2023 i rimpatri sono stati fin qui solo 2.500, contro i circa 6.500 degli anni 2018 e 2019. Un punto, ovviamente, mai citato dalla presidente del consiglio nel suo videomessaggio. Perché il problema reale rimane quello dei rimpatri: le soluzioni proposte da Meloni sono quasi impossibili da mettere in pratica e comunque utili a poco, se non ad aumentare eventualmente la detenzioni dei migranti nei Cpr.

Trattenuti per il rimpatrio ma mai rimpatriati – Per capire quanto possono essere “utili” gli annunci della premier basta leggere le parole del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale nella sua relazione nel giugno scorso al Parlamento. Partendo dal principio che “la privazione della libertà, bene definito ‘inviolabile’ dalla nostra Carta, possa attuarsi solo nella prospettiva di una chiara finalità, legalmente prevista e sotto riserva di giurisdizione” il Garante ha ricordato che “il 50,6 percento delle persone trattenute ha avuto un periodo di trattenimento detentivo senza il perseguimento dello scopo per cui esso era legalmente previsto”. Cioè trattenuti per il rimpatrio ma mai rimpatriati. “Una sottrazione di tempo vitale non giustificata di fatto dalla finalità che il primo comma dell’articolo 5 della Convenzione europea per i diritti umani assume come previsione per la privazione della libertà e che la stessa Direttiva europea sui rimpatri del 2008 (la direttiva CE/115/2008) ritiene non accettabile perché non caratterizzata da una credibile possibilità di attuare il rimpatrio”. Per questo il Garante – precisando che non intendeva “intervenire su scelte politiche che non sono di sua competenza” – invitava Parlamento e Governo a considerare questi dati “in un momento in cui l’ampliamento di strutture di questo tipo è stato avanzato come elemento strategico”. Spunti che, però, sembrano non essere stati analizzati dal governo.