di Gianluca Pinto
Durante un dibattito alla Festa del Fatto Quotidiano, Lilli Gruber ha casualmente toccato il tema dell’effetto della ripetitività dei contenuti a livello di informazione televisiva. Il tema posto dà la possibilità di affrontare un argomento correlato, inspiegabilmente sottovalutato o non considerato. Si parla delle interruzioni pubblicitarie, in particolare in televisione.
Per parlarne prendo spunto da una puntata di Tagadà del 18 marzo 2022, in cui era ospite Antonio Padellaro e in cui ci si avvicinò al problema in oggetto senza però toccarne la parte dolente. Per la Russia era il giorno della ricorrenza dell’annessione della Crimea del 2014 e durante la trasmissione, nel vedere l’alternarsi delle immagini della distruzione della guerra e le immagini della Russia in festa, la disperazione delle donne e degli uomini in territorio ucraino e la tranquillità di Putin si parlò di “effetto distonico” dovuto alla contraddizione data dalla sequenza delle riprese delle due situazioni opposte. Si osservò quanto fosse orribile tutto questo.
Il punto che lascia molto perplessi non riguarda la giustezza di questo concetto o l’evidenza della sensazione che le succitate sequenze di immagini possano procurare, ma riguarda il “dove” tali riflessioni siano state condotte, ossia il contesto. Il dibattito si è malauguratamente svolto in un programma televisivo e purtroppo, di qualsiasi programma si tratti, questa disquisizione in televisione non può aver luogo, pena lo svilimento del senso di tutta la dissertazione. È proprio in televisione, infatti, che giornalmente si creano “effetti distonici” profondi, con conseguenze tutte da chiarire in quanto ormai la contraddizione è divenuta prassi e quindi abitudine.
Partiamo proprio dalle immagini e dal racconto di una guerra e della sua devastazione: la morte e la situazione, ad esempio, dei bambini in quel luogo. Vengono interrotti o seguiti da immagini di un bambino che piange affranto perché vuole ritornare in crociera, oppure dalle immagini di una famiglia felice che butta allegramente i biscotti nel latte facendolo riversare ovunque, o dalla trattazione dell’enorme problema sociale provocato dalla micosi alle unghie. Questo è molto peggio dell’effetto distonico prodotto dalle immagini della Russia in festa e dell’Ucraina in guerra, proprio perché nel caso degli ‘spot’ tale cesura è diventata quotidianità e non ci si accorge di quello che succede. L’aggravante, inoltre, è l’irruzione improvvisa di un mondo finto, che ha l’intento di essere percepito come reale e/o desiderabile (questo è lo scopo del marketing e delle pubblicità) dentro il racconto della tragedia del reale e materiale: questo crea un effetto deflagrante perché a livello percettivo rischia di relegare il vero ad una cosa cui semplicemente assistiamo senza dargli sapore di realtà.
Si tratta sempre di percezione, anche nella comunicazione. La prassi di interrompere l’informazione che ha l’intenzione di essere anche ‘educativa’ (lasciamo stare se ci riesca o meno, quale sia il principio di tale educazione e tutto l’argomento dell’informazione in Italia oggi, che non è il tema qui affrontato) con ripetuti messaggi pubblicitari in contraddizione con il messaggio veicolato da un argomento specifico affrontato nei programmi, a quale tipo di abitudine porta? A cosa ci si abitua? Che effetti può produrre effetti a livello di percezione ed elaborazione che sono ancora sottovalutati?
Se si parla delle morti dei bambini in guerra e poi si dà spazio alle immagini di un bambino disperato che vuole tornare in crociera, che effetto ha su chi riceve il messaggio (in particolare modo se è un’abitudine di cui il fruitore non si rende nemmeno più conto)? Se dopo un servizio sui danni ambientali causati dagli allevamenti intensivi ci viene consigliato di spendere i nostri denari andando a mangiare in un fast food; se dopo una lunga trattazione dei danni causati dalle monocolture di nocciole in Lazio (a scopo di produzione di alimenti su scala industriale) veniamo incoraggiati ad acquistare tutti la Nutella, cosa succede all’elaborazione di coloro cui tali messaggi contraddittori vengono indirizzati?
In neurologia qualcosa di lontanamente simile è catalogato come “mismatch”, ossia quello che succede al cervello quando un andamento cambia improvvisamente (nel caso della mia ricerca il lavoro sul mismatch è svolto nell’ambito delle sequenze sonore). Tale effetto presuppone un’attività costante della memoria, altrimenti la cesura tra ‘prima’ e ’adesso’ non sarebbe percepibile.
Il tempo e la memoria hanno, nell’acquisizione del senso e del significato, un ruolo fondamentale. Il tempo è “materia” della percezione. L’accordo del Tristano di Wagner produce quell’effetto che ha portato a parlare di crisi della logica tonale funzionale, per la sua “durata”. Quello stesso accordo, con una differente durata, ha un effetto percettivo diverso. Quale effetto sulla percezione stessa ha la prassi continuata e continuativa della contraddizione dei messaggi anche soltanto riguardo alle semplici sequenze di immagini (ci ricordiamo tutti del film “Arancia Meccanica”)? Insomma, che percezione e che elaborazione si producono in tutto ciò?
Di questo credo sia necessario occuparci, anche per comprendere cosa si debba fare per permettere all’uomo di calibrare anche il suo pensiero razionale.