Dopo oltre un anno e mezzo di stallo, l’eterno procedimento disciplinare a carico di Cosimo Ferri può rimettersi in moto. Ma rischia di finire molto presto nel nulla. Martedì il Consiglio superiore della magistratura ha ordinato una nuova trasmissione degli atti alla Camera, che dovrà esprimersi ancora una volta sull’utilizzabilità delle conversazioni intercettate la notte tra l’8 e il 9 maggio 2019 all’hotel Champagne di Roma. In quei nastri il giudice ed ex sottosegretario alla Giustizia, da deputato Pd in carica, disegnava strategie sulla scelta del futuro procuratore della Capitale insieme a Luca Palamara – allora potente leader della corrente Unicost -, all’ex ministro dem Luca Lotti (in quel momento indagato proprio a Roma) e a cinque consiglieri togati del Csm, a cui di lì a poco sarebbe spettata la nomina. Perciò la Procura generale della Cassazione lo accusa, dal lontano giugno 2020, di violazione dei “doveri di correttezza ed equilibrio”, di “comportamento gravemente scorretto” nei confronti dei colleghi e di “uso strumentale della propria qualità e posizione (…) diretto a condizionare l’esercizio di funzioni costituzionalmente previste”. Per queste stesse incolpazioni Palamara è stato radiato dall’ordine giudiziario e i cinque ex consiglieri condannati a lunghe sospensioni dalle funzioni e dallo stipendio.

A differenza di tutti loro, però, all’epoca dei fatti Ferri era parlamentare. E per sostenere l’accusa contro di lui è fondamentale la prova costituita dalle intercettazioni, disposte però nell’ambito di un’indagine nei confronti di Palamara (allora indagato per corruzione). Per questo, a luglio 2021, la Sezione disciplinare di palazzo dei Marescialli ha chiesto alla Camera l’autorizzazione successiva a utilizzarle nel procedimento in base all’articolo 6 della legge Boato sulle prerogative dei parlamentari, in quanto conversazioni captate “nel corso di procedimenti riguardanti terzi, alle quali hanno preso parte membri del Parlamento”. A gennaio 2022 Montecitorio risponde di no: ma lo fa citando un’altra norma, l’articolo 4 della stessa legge, che richiede invece l’autorizzazione preventiva in caso di intercettazioni dirette verso un parlamentare. Secondo i deputati, infatti, le registrazioni del loro collega Ferri non erano state casuali, ma volute o comunque previste dall’autorità inquirente (la Procura di Perugia). Contro questa tesi il Csm ha sollevato conflitto d’attribuzione di fronte alla Corte costituzionale, che lo ha accolto con una sentenza depositata lo scorso 20 luglio: per i giudici della Consulta, “gli elementi addotti dalla Camera (…) non sono idonei a dimostrare univocamente” che i pm volessero intercettare Ferri tramite Palamara. E perciò, hanno ordinato, l’Aula dovrà esprimersi ancora una volta sulla richiesta del Csm, questa volta però in base all’articolo 6.

Così, su richiesta del sostituto pg della Cassazione Simone Perelli, nell’udienza del 19 settembre la Sezione disciplinare ha disposto un secondo invio degli atti (rigettando la richiesta della difesa di Ferri, che aveva chiesto di dichiarare l’inutilizzabilità dei nastri). Ma il tempo stringe. In base alla legge, infatti, il verdetto disciplinare deve arrivare entro un anno dall’esercizio dell’azione da parte della Procura generale, pena l’estinzione delle accuse. Per questo, sottolineando l’urgenza, l’ordinanza firmata dal vicepresidente dell’organo Fabio Pinelli e indirizzata a Montecitorio evidenzia “che trattasi di procedimento disciplinare pendente dal 23 giugno 2020“, cioè più di tre anni fa. Anche tenendo conto dei lunghissimi periodi di sospensione dei termini (disposti in attesa del giudizio della Consulta, ma anche a causa di numerosi rinvii delle udienze chiesti dallo stesso Ferri) il conto alla rovescia è quasi scaduto: chi conosce le carte dice che restano a disposizione appena un paio di mesi. Poche settimane in cui la richiesta dovrebbe essere discussa prima dalla Giunta per le autorizzazioni e poi dall’Aula, dopodiché, in caso di via libera all’utilizzo delle intercettazioni (molto difficile, considerando i precedenti) il Csm dovrebbe completare l’istruttoria e arrivare a una decisione. In pratica servirebbe un miracolo. E così, a meno di sorprese, Ferri potrà continuare a ricoprire la carica di magistrato, peraltro finora illibato sia in sede penale che disciplinare: nei giorni scorsi infatti un altro assist gli è arrivato dalle Sezioni unite della Cassazione, che hanno annullato con rinvio la sentenza del Csm che lo aveva condannato a due anni di perdita di anzianità per aver accompagnato a casa di Silvio Berlusconi Amedeo Franco, il giudice “pentito” del processo Mediaset.

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