Più di undicimila vittime e decine di migliaia di dispersi, con il timore che il saldo finale possa arrivare a ventimila morti. L’esito del catastrofico crollo di due dighe a monte di Derna in Libia orientale è stato spaventosamente grave. Le foto satellitari offrono una visione apocalittica dell’impatto dell’evento sul territorio costiero (v. Figura 1).

Il crollo degli sbarramenti sul Wadi Derna è stato direttamente causato dalla tempesta Daniel, un evento idrologico estremo classificato come Medicane dai meteorologi. Si parla di una pioggia superiore a 200 millimetri caduta in brevissimo tempo e di circa 400 nelle 24 ore su una terra mediamente bagnata da meno di due millimetri di pioggia nel mese di settembre. Ma sappiamo bene che paragonare la precipitazione media con quella di un nubifragio non ha alcun senso. E ha poco senso anche l’invocazione sul clima che cambia.

In tempi contemporanei, Derna è stata spesso colpita da inondazioni da parte del Wadi Derna. Era una città ad alta pericolosità idraulica. Gli eventi i principali accaddero nel 1941, 1959 e 1968. L’alluvione del 1959 fu particolarmente catastrofica, tanto che, negli anni ’60 del XX secolo, il governo commissionò alcuni studi idrologici. La soluzione definitiva fu la decisione di costruire due dighe a protezione della città. Detto fatto, le dighe furono appaltate nel 1970 a una società jugoslava, Hidrotechnika, e furono terminate nel 1978, come riporta The World Register of Dams (vedi Bumansur e Derna). Entrambe furono costruite in materiale sciolto: terra zonata, con un nucleo di argilla compattata e strati successivi in pietrame.

La diga superiore, Abu Mansur Dam, impostata a quota 204 metri sul livello del mare, era alta 75 metri e capace d’invasare 22,5 milioni di metri cubi d’acqua (v. Figura 2).

Quella inferiore, Al-Bilad o Derna Dam, era meno alta (22 metri), meno larga (105 metri contro i 322 di quella a monte) e assai meno capace: un bacino di soli 1,5 milioni di metri cubi che aveva anche uno scopo irriguo a servizio di circa 100 ettari di coltivazioni (v. Figura 3). Gli scarichi di sicurezza erano abbastanza generosi, capaci di esitare portate consistenti: 170 metri cubi al secondo ad Al-Mansur e ben 350 a Derna. Generosi ma, evidentemente, non abbastanza generosi.

I numeri non dicono tutto, come qualcuno a torto pensa, ma comunque servono a capire. Non erano dighe vecchie né venerande, come la gran parte di quelle italiane. Circa 45 anni d’età non sono poi così tanti. E le due dighe avevano scarichi non affatto inconsistenti. Eppure gli sbarramenti di Abu Mansur e Al-Bilad sono state spazzati via, non esistono più come testimoniano le impietose immagini satellitari (v. Figure 4 e 5).

Secondo lo scenario più verosimile, anche se tutto da approfondire, l’effetto domino è stato determinante. La grande diga di monte è stata sormontata ed è crollata, rilasciando a valle un’ondata torrenziale d’acqua e sedimenti, arricchiti dai 750mila metri cubi del rilevato della diga stessa che si è sbriciolata. L’onda di piena, ingigantita dalla pioggia sul bacino idrografico di valle, ha impattato disastrosamente sullo sbarramento inferiore, posto a meno di un chilometro dal centro abitato di Derna, provocando una catastrofe epocale. La generosità degli scarichi potrebbe anche far pensare a un loro malfunzionamento, pur essendo a libero sfioro, il sistema più robusto ed efficiente. Il sormonto dev’essere stato comunque molto consistente, se la vena idrica ha polverizzato in brevissimo tempo il rilevato.

In Italia, la litania della catastrofe annunciata è una costante storica ormai consolidata, forse retaggio di una visione religiosa della vita sociale. Per la tragedia di Derna, qualche avviso c’era comunque stato. Una ricerca pubblicata nel novembre 2022 avvertiva come le dighe sui corsi d’acqua a regime intermittente come i wadi richiedessero urgenti attenzioni, citando la serie di alluvioni che avevano ripetutamente colpito il bacino del Wadi Derna dopo la seconda guerra mondiale.

Lo studio, focalizzato sul Wadi Derna, concludeva che “l’area esaminata ha un elevato potenziale di rischio di alluvione. Pertanto, le dighe del bacino del Wadi Derna richiedono una manutenzione periodica. Inoltre, sarebbe necessario aumentare la copertura vegetale per ridurre il fenomeno della desertificazione”. La prima frase si è rivelata profetica di sventura. La seconda avvalora la congettura che la mancata manutenzione di questi manufatti sia la causa indiretta ma determinante della catastrofe:

La pubblicazione sul Sebha Univeristry Journal of Pure and Applied Sciences, finora premiata da nessuna citazione, avrà una certa risonanza. Questa sconosciuta rivista scientifica farà un enorme balzo negli indici bibliometrici della mia disciplina. E mi rende orgoglioso, poiché il modello idrologico usato dall’autore, Abdelwanees Ashoor, è quello che avevo proposto come standard all’inizio del secolo, quando il Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche del Consiglio Nazionale delle Ricerche collaborava attivamente con le istituzioni per difendere il nostro “sfasciume pendulo sul mare” dai disastri, annunciati e non.

Altri due fattori hanno contribuito ad aggravare l’impatto del disastro: l’omertosa pianificazione territoriale e le carenti procedure di emergenza.

La pianificazione urbana ha trascurato del tutto il rischio di un potenziale crollo delle dighe. Le aree a valle degli sbarramenti, quelle a rischio di piena da crollo, non avrebbero dovuto essere utilizzate per l’edilizia abitativa. Ma si tratta di una pura speculazione intellettuale, perché in tutto il mondo, compreso il nostro paese, l’urbanistica ha raramente preso seriamente in considerazione questo fattore.

Non si può neanche escludere che il crollo degli sbarramenti si sarebbe potuto evitare con appropriate e tempestive manovre sugli scarichi. Queste manovre avrebbero forse potuto limitare l’impatto del sormonto del corpo diga sul rilevato di Abu Mansur. Ma non sappiamo neppure se la diga fosse sorvegliata e gestita da personale tecnico competente.

Una popolazione soggetta a prolungati conflitti e governi precari è molto vulnerabile: il bilancio delle vittime si aggraverà, anche a medio termine. La catastrofe è la seconda più grave tra quelle dovute al crollo degli sbarramenti artificiali, in età moderna. Il bilancio delle vittime è inferiore solo a quello della colossale tragedia cinese di Banqiao del 1975, quando il crollo delle dighe in seguito alla piena causata dal Tifone Nina provocò 26 mila vittime dirette e, a seconda della fonte, tra 145 e 205 mila morti per gli effetti secondari durante i sei mesi successivi: epidemie e carestia.

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