Nella discussione sul salario minimo è entrata a gamba tesa, per usare una metafora calcistica, anche la nuova Direttrice dell’Inps, il commissario straordinario di nomina governativa, dott.ssa Micaela Galera. Un fallaccio da centrocampo inutile e dannoso, per continuare nella metafora, come spesso capita nelle partite. Tra l’altro nemmeno richiesto, perché nei Rapporti Annuali dell’INPS degli anni scorsi la questione del salario minimo era semplicemente ignorata. Ora invece il XXII Rapporto Annuale contiene un’analisi del salario minimo per dare, come si legge, un contributo alla discussione. Un nuovo contributo utile dopo quelli di Eurostat, Istat, Inapp su un tema di attualità oppure un maldestro tentativo di depistaggio statistico?
La macroscopica anomalia, o lo scivolone a seconda delle interpretazioni, consiste nel fatto che il nuovo rapporto dell’INPS pubblicato questo mese interviene, con tempismo perfetto, sulla questione del salario minimo a favore dei cosiddetti lavoratori poveri con numeri in totale controtendenza rispetto alle analisi precedenti. I lavoratori poveri sono quelli che ricevono un salario inferiore ai due terzi di quello mediano (non medio). L’Inps ha prodotto una stima del tutto differente rispetto agli altri istituti statistici, quantificando questi lavoratori poveri in circa 900mila. Poi, scremando ancora i dati, per l’istituto della dott.ssa Galera i veri lavoratori poveri full time sarebbero solamente 25mila, cioè, per usare le parole del rapporto, “i wp risultano quindi sotto il profilo numerico una componente marginale dell’insieme del lavoro dipendente”. In definitiva avrebbe ragione il governo, coadiuvato dal Cnel di Brunetta, nell’affermare che si tratta di un problema irrilevante e quindi da accantonare. Molto rumore per nulla, insomma.
Questa tesi governativa però contrasta in maniera plateale con tutte le altre fonti statistiche disponibili. Ultima in ordine di tempo è la lunga e dettagliata relazione presentata dall’ISTAT nell’audizione alla Camera nel luglio di quest’anno, che trattava apparentemente di un tema leggermente differente, cioè gli effetti dell’innalzamento del salario minimo per legge a 9 euro. Ma perché proprio i 9 euro? Perché i 9 euro sono appena sopra, anche per l’Istat, alla soglia di povertà dei lavoratori. Infatti secondo la relazione dell’Istat il salario mediano è stato nel 2022 pari a 12,9 euro, da qui una soglia di povertà di 8,5 euro all’ora, che possiamo arrotondare a 9. Il rapporto riporta che sotto questa soglia si trovano più di 3 milioni di lavoratori che risulterebbero a tutti gli effetti lavoratori poveri, una cifra molto lontana da quella stimata dall’Inps.
Continuando con l’Istat, l’innalzamento della retribuzione oraria minima a 9 euro comporterebbe un incremento della retribuzione annuale per 3,6 milioni di rapporti di lavoro; se si escludono quelli di apprendistato, si scende a poco più di 3,1 milioni, tra i quali 2,8 milioni sono per la qualifica di operaio. Per questi lavoratori l’incremento medio annuale sarebbe pari a circa 804 euro lordi, con un incremento complessivo del monte salari stimato in oltre 2,8 miliardi di euro.
Perché questa macroscopica e apparentemente inspiegabile differenza nei numeri? Il problema sta nel differente punto di partenza. L’Istat, nel calcolare i famosi due terzi, parte da un salario mediano orario lordo di 12,9 euro, mentre l’Inps, abbastanza stranamente, parte da un salario lordo giornaliero di 48,3 euro del mese di ottobre 2022, pari a circa 6 euro all’ora. Da qui, le differenti conclusioni.
In definitiva il mistero è semplice: i numeri sono molto differenti e perfettamente riconciliabili perché l’Istat calcola un salario mediano annuale mentre l’Inps, per ragioni da accertare, si è limitata al mese di ottobre. Diciamo che, per fortuna, coloro che guadagnano un miserrimo salario di 6 ore lorde all’ora sono una infima parte dei lavoratori. I dati non mentono, solo che l’Istat, seguendo metodologie europee, calcola il valore sull’anno; l’Inps, con una sospetta astuzia statistica, si limita al mese di ottobre.
Qual è la metodologia più corretta? Andiamo a prendere un arbitro internazionale, cioè Eurostat, così sgombriamo il campo da possibili interessi di parte o autarchici. Purtroppo gli ultimi dati disponibili si riferiscono al 2018. Eurostat ha calcolato per quell’anno un salario mediano per l’Italia di 12,6 euro, con una soglia di povertà del lavoro fissata a 8,4 euro, in linea cioè con i valori dell’Istat. La percentuale di lavoratori poveri risultava poi all’8,2%, grosso modo i tre milioni di lavoratori calcolati dall’Istat. Dunque i dati dell’Inps, visti dalla tribuna europea, sono veramente parziali e poco attendibili.
Comunque, al di là delle apparenze, il dato italiano non è così negativo. La percentuale di lavoratori poveri dell’Unione Europea è del 15,2%, e dunque molto superiore, salendo addirittura al 20,7% nella sempre celebrata Germania. Per cui possiamo dire che la robusta contrattazione sindacale italiana tutela adeguatamente i lavoratori. Si tratta di fare un ulteriore piccolo sforzo per aiutare i paria che lavorano principalmente nei servizi.
Meloni e il suo governo sono negazionisti in economia, come in molti altri ambiti, o sarebbe meglio dire volutamente strabici: ignorano, anzi oscurano, i molti fatti che smentiscono, ad un anno dall’insediamento, la loro retorica demagogica, ed esaltano quei pochi che danno lustro al sovranismo nostrano. Da politici poco competenti e altrettanto poco responsabili in economia possiamo aspettarci questo e altro. Non è invece accettabile che anche istituti seri pieghino i dati a favore della falange governativa. Di tutto abbiamo bisogno, meno che di una statistica governativa.
Tornando alla metafora calcistica, la dott.ssa Galera per ora si merita un’ammonizione, il cartellino giallo, ma se ci dovesse essere un secondo episodio di eguale gravità, sarebbe inevitabile il cartellino rosso, le sue dimissioni. L’Inps ha così tanti guai che non è il caso di aggiungerne altri, come le statistiche prêt-à-porter, per sostenere le strampalate ipotesi governative sul salario minimo e altro ancora.